Luca Gatti, esperto di Customer Experience e Trasformazione Digitale, è Docente di Digital Business (re)Design nell’Executive MBA English Edition di Bologna Business School.
Il Master, part-time hybrid weekend, in lingua inglese e con outlook internazionale, è pensato per professionisti che vogliono guidare le aziende nel percorso di innovazione del proprio business.
– Cosa si intende per customer centricity?
Nella sua semplicità, si tratta di mettere il consumatore, il cliente, l’utente, al centro del processo organizzativo e decisionale.
Storicamente, le aziende si sono ottimizzate attorno al prodotto, chiedendo all’utente finale di adattarsi al loro schema, grazie a cui poteva beneficiare di qualità ed efficienza.
Perché è diventato così necessario ripensare il modello? Tre elementi hanno causato la “tempesta perfetta” per le aziende: la facilità con cui l’utente può sentirsi frustrato, la proliferazione di alternative e l’abbattimento dello switching cost. Per esempio, oggi siamo abituati all’efficienza del funzionamento di certe app, come quelle per la mobilità, per la chiamata di un taxi. Questa esperienza si espande a tutti gli altri ambiti, per cui lo standard atteso dal consumatore è generalmente alto: il rischio di frustrazione, di conseguenza, aumenta. Poi, l’innovazione tecnologica ha abbattuto il costo del portare novità sul mercato e non esiste più il concetto di partire a offrire un servizio con la massima efficienza: si mette in moto l’idea e la si migliora strada facendo. Ultimo, il crollo dei costi per passare verso un’alternativa: oggi a parte poche realtà, si pensi all’onerosità di spostare tutte le proprie posizioni a un’altra banca, la flessibilità è altissima e poco costosa. Passare da un’offerta di servizio all’altra è semplice e a basso costo: il potere è in mano al consumatore e questo lo porta al centro dell’azienda.
Non è facile definire cosa vuol dire in termini pratici “mettere al centro il consumatore”. Si tratta di un cambiamento di paradigma che travolge tutto. E ancora più difficile è mantenere questo obiettivo come centrale, sacrificandogli anche alcuni classici parametri di efficienza.
– A un quarto di secolo dalle teorie di The innovator’s dilemma, in quali termini possiamo ancora parlare di innovazione e digital transformation in azienda?
Il dilemma dell’innovatore non è cosa fare, ma come riuscire ad agire mimando la flessibilità di una start up, nonostante si sia in un’azienda dalla struttura importante. Per dare un esempio molto “visivo”: io posso vedere l’iceberg e decidere di cambiare rotta, ma se la nave è troppo grossa e non ha spazio sufficiente di manovra, lo colpirò lo stesso. Con uno scafo piccolo e agile lo eviterò. Senza la definizione di una nuova rotta, tramite la customer centricity, il rischio è che la digitalizzazione del proprio modello paradossalmente faccia “accelerare il Titanic” mantenendo la rotta di collisione. La trasformazione digitale è un abilitatore.
Occorre cambiare rapidamente il punto di vista alla base: se parto da “cosa crea valore oggi per la mia clientela target?”, allora guardo alla digital transformation come a una serie di strumenti per efficientare o rimuovere attività a zero valore aggiunto percepito dal cliente finale. Diventa un modello di pensiero complessivo.
Fare corporate innovation è molto più complesso e lento che partire con una nuova start-up; ma è un processo che si compensa valorizzando tutte le fonti di vantaggio competitivo che possono arrivare dall’essere agganciati a una struttura forte e con una consumer base consolidata.
– In un contesto orientato ai nuovi trend di digital transformation, quali sono, in questo senso, i punti di forza del Master Executive MBA English Edition?
Questo modulo è disegnato per far comprendere a business manager come il Design Thinking sia un tool da avere nella propria “cassetta”. Non importa la purezza del metodo, che viene portata dai designer. Il mio obiettivo non è far diventare i manager d’azienda dei designer, ma di creare sufficiente consapevolezza sul valore che il design può portare al business. Il concetto fondamentale è aiutare a ragionare. Non si deve iniziare a pensare alle soluzioni finché non è chiaro qual è il quesito. Di solito, il problem solving si muove nella direzione di proporre soluzioni, quando spesso il vero problema non viene messo a fuoco.
in questo Master ci prendiamo tutto il tempo di esplorare i bisogni del cliente o utente target, e alla luce di questa comprensione stabilire cosa vogliamo risolvere e solo a quel punto mettiamo in campo le idee per trovare soluzioni.
– Potrebbe spiegare il valore dei principi e dei tool legati al Design Thinking applicato ai modelli di business?
Si tratta di fornire ai partecipanti quel segmento di conoscenze che viene definito orizzontale, la parte superiore della classica formazione a “T”: la linea verticale, le conoscenze tecniche e pratiche specifiche, è ormai necessaria per lavorare in azienda e, quindi, il nostro target ne è provvisto, o comunque sono fornite da altri moduli dei corsi executive.
Questo modulo è molto utile per integrare gli strumenti già in possesso con le soft skills eterogenee e varie che occorre possedere per riorganizzare il business attorno al cliente.
– Quale figura rappresenta il candidato ideale?
Un profilo che è intellettualmente curioso e aperto a ricevere input e stimoli da mondi non suoi. Occorre multidisciplinarietà, portare al tavolo persone molto diverse tra di loro, competenti nell’ambito che devono presidiare (condizione necessaria) ma capaci di offrire il plus dell’apertura mentale, dell’ascolto empatico.
Occorre lasciare l’ego alla porta: il vero leader è chi traina verso il successo il proprio team e l’obiettivo è trasferire questi elementi ai partecipanti.
– Quali sono i vantaggi competitivi del fare un executive MBA in BBS?
Bologna Business School è una Scuola molto innovatrice, capace di disegnare Programmi con un mix di conoscenze accademiche e pratiche, che arrivano direttamente dal mondo del business. C’è tantissimo fermento, il nuovo Campus in realizzazione, eventi, una forte integrazione nel territorio, con aziende e realtà locali.
Bologna e BBS trovano il giusto equilibrio tra la dimensione non piccola, ma non ingessata e burocratica, generando terreno fertile valorizzato con spirito innovatore.
BBS è in continua crescita, ma sta riuscendo a mantenere questo delicato equilibrio fra il consolidarsi come realtà educativa e il restare snella e agile per cogliere l’innovazione ovunque essa sia. Auguro alla Scuola di continuare ad avere questo spirito rivoluzionario.