L’innovazione come chiave per la gestione della crisi nel mondo degli affari. Ne abbiamo parlato con Maurizio Arrivabene, oggi Team Principal della Scuderia Ferrari e Managing Director Ferrari gestione Sportiva.
Lei ha assunto questa nuova carica quando la squadra Ferrari era in crisi di risultati. Che situazione ha trovato quando è arrivato a Maranello?
Quando sono arrivato in azienda ho trovato che si procedeva per compartimenti stagni e, in qualche modo, proteggeva se stesso. Il che non funziona se le aspettative sono molto ambiziose perché questo modo di lavorare non fa il bene dell’azienda ma fa il bene esclusivo delle persone poco coraggiose.
Sotto la sua guida sono state apportate modifiche sostanziali in tempi ristretti. Quali sono stati gli elementi principali di questa evoluzione?
Il mio compito è far lavorare in modo corretto gli ingegneri e far sì che lo facciano con spirito di team. Per questo ho fatto in modo di rompere il sistema di silos che si era creato. Il primo passo è stato quello di individuare i punti deboli dell’organizzazione prima che della macchina; poi abbiamo capito su quali aspetti i vari gruppi potevano collaborare per ottimizzare i risultati. Ad esempio, quando si vogliono ottenere prestazioni eccellenti, è fondamentale che motoristi, telaisti e aerodinamici si parlino. Per realizzare la macchina del prossimo anno i telaisti hanno dato una mano ai motoristi creando una soluzione che è si è rivelata molto importante per il motore. In cambio i motoristi hanno ridotto il basamento dell’architettura del motore per dar modo agli aerodinamici di lavorare meglio. La macchina che vedrete sulle piste l’anno prossimo è dunque frutto di un lavoro di squadra.
Ho cercato di cambiare lo spirito con cui ci si approccia alla concorrenza, che è un elemento fondamentale nelle competizioni come nel mondo del lavoro. Serve un atteggiamento di grande umiltà, e bisogna saper fare un passo indietro prima di farne cinque in avanti. Ma, soprattutto, occorre pensare in maniera diversa. Qualche mese fa l’obiettivo in Ferrari era raggiungere la Mercedes. Ma con questo approccio il massimo che si può ottenere è eguagliare la Mercedes. Bisogna invece lavorare pensando a cosa si può fare per andare oltre. Per questo dobbiamo applicare delle metodologie di lavoro completamente diverse che creino un vantaggio concorrenziale sostenibile. La scelta è tra surfare sull’onda o diventare l’onda, tra farsi trascinare o diventare trascinatori.
Una volta che si è superato il principale competitor, qual è la strategia giusta per continuare ad essere competitivi?
Continuare a pensare da secondi, mai da primi. Nel momento in cui pensi da primo in classifica, perdi completamente il vantaggio competitivo che avevi acquisito. Devi allora crearti un competitor virtuale, dividere la tua azienda in due team in competizione. E’ il problema che abbiamo avuto in Marlboro qualche anno fa: per tantissimo tempo l’azienda era stata leader indiscusso del mercato; poi, pur continuando ad esserlo, ha cominciato a perdere quote importantissime e a navigare principalmente sul valore del brand. A un certo punto però questo vantaggio si è perso, perché con l’evolversi della tecnologia digitale e col cambiamento epocale che c’è stato nella comunicazione, il communication power è caduto e i consumatori hanno assunto un atteggiamento più critico sul prodotto. Questo è accaduto perché in Marlboro si pensava da numeri uno e questo aveva bloccato l’innovazione. Quando mi era stata affidata la comunicazione a livello internazionale di Marlboro c’era poco da stare allegri. Il grande cambiamento è stato ridisegnare il packaging, ridisegnare il brand e creare una nuova campagna di comunicazione. C’è voluto tempo per tornare ad essere leader del mercato e vi assicuro che non è stato facile. Io venivo accusato dall’80% dell’azienda di essere quello che aveva ucciso il cowboy. Però credo di poter dire, a qualche anno di distanza, di aver salvato molti posti di lavoro.
Con quale spirito ha affrontato la sfida che aveva davanti quando è arrivato in Ferrari?
In Philip Morris ricoprivo una posizione che non avrei mai immaginato quando ero un ragazzo, ero un uomo realizzato e per quest’anno mi ero proposto di smettere. Ma avevo lavorato anche nel motor sport, che mi appassionava molto. Quindi questa nuova avventura in Ferrari è stata per me una sfida più che un lavoro. Una volta accettato è stato importantissimo fermarmi a cercare di comprendere dove mi trovassi, imparare a conoscere l’azienda, i suoi uomini, la sua storia. Così ho potuto capire cosa significa la Ferrari e la sua storia che altri hanno scritto prima di me. A quel punto ho potuto cominciare a chiedermi quali fossero le risorse di quest’azienda che, prima di essere cambiate, devono essere utilizzate o migliorate.
Qual è il suo consiglio a uno studente che ha l’ambizione di lavorare in un’azienda come Ferrari?
Entrare in Ferrari è difficilissimo, al punto che dobbiamo cercare noi i candidati, perché in tanti pensano che sia talmente difficile che nessuno manda un cv. Quello che vorrei dire è che invece non è così arduo come sembra, però devi avere dentro te stesso tre doti importanti: umiltà, determinazione e dedizione. Se le hai, mandaci il tuo cv.
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