Il management nell’industria del food industry secondo Eleonora Cozzella

Luglio 7, 2016

Eleonora Cozzella, giornalista ed editor della sezione Food&Wine di L’Espresso, ha raccontato agli studenti del Global MBA Food and Wine le sue esperienze e punti di vista dell’industria del cibo e il vino, raccolte durante la sua carriera.

“Occuparsi di enograstronomia vuol dire andare a toccare delle corde sentimentali nella vita di chiunque: il cibo coinvolge la memoria, i sentimenti, persino la religione. E’ una materia veramente intima, che va avvicinata con una grande passione”.

Eleonora Cozzella cura il sito Food&wine dell’Espresso, scrivendone gli articoli di punta; segue i principali convegni per capire le tendenze dell’enogastronomia mondiale; gira per i migliori ristoranti d’Italia e d’Europa per individuare o confermare le eccellenze e scovare le nuove promesse. Presiede inoltre la giuria italiana del premio The World’s 50 Best Restaurants, coordinando 35 tra chef, giornalisti, foodies, gourmet, che danno i voti ai sancta sanctorum della cucina internazionale in un’esclusiva e trasversale classifica che va oltre le guide più accreditate. Con lei abbiamo parlato di un settore sempre più rilevante sul piano economico e su quello socio-culturale.

Nella ristorazione italiana molto spesso gli chef si trovano ad essere anche dei veri e propri manager. Crede che potrebbe essere utile avere due figure distinte? 

Credo di sì, anche perché, per quella che è la mia esperienza in Italia, è difficilissimo essere entrambi. Mi spiego meglio. Alain Ducasse in Francia è un grandissimo chef, ma è allo stesso tempo un grande manager. Questo vuol dire sapere affidare la gestione di ciascuno dei suoi locali a uno chef di fiducia, aver creato una vera e propria scuola, aver formato una squadra che in tutto il mondo nei ristoranti di Ducasse lascia il segno, l’impronta, la firma di Ducasse. Questo in Italia non è avvenuto perché siamo ancora legati a un vecchio tipo di ristorazione per cui se si va in un ristorante si resta delusi se non si trova lo chef in cucina. In realtà se uno chef è anche un grande manager può lasciare in cucina il suo braccio destro e andare in giro per il mondo come fa Ducasse, come fanno Joël Robuchon, Yoshihiro Narisawa in Giappone e Gaston Acurio in Perù.

Lei ha avuto modo di osservare da vicino le modalità di gestione dell’alta ristorazione italiana e internazionale. Quali sono le differenze e le analogie? 

In Italia manca appunto la figura del cuoco-manager, del cuoco-imprenditore. Si può essere un grande talento in cucina e poi essere incapaci di seguire il settore economico-finanziario, il marketing della propria azienda. Allora, quando la situazione non è rosea, è meglio affidarsi a un manager. Molto spesso gli chef hanno dei PR, ma questi fanno un’altra cosa.

Che consigli darebbe a uno studente che frequenta il MBA Food and Wine? 

Il consiglio è che segua questa strada solo se ha una vocazione assoluta per il Food&Wine. Ancor prima del lato manageriale deve prevalere una grandissima passione per tutto ciò che si mangia e si beve di buono. La gente ha sempre più voglia di sentirsi raccontare una storia, anche il miglior cibo sarà ancora più buono se qualcuno riesce a spiegare chi c’è dietro quel cibo, perché ha un valore aggiunto, perché è un bene pagarlo di più se dietro c’è una filiera particolare. Anche il marketing in questo settore non dovrebbe essere freddo. Occuparsi di enogastronomia vuol dire infatti andare a toccare delle corde sentimentali nella vita di chiunque: il cibo coinvolge la memoria, i sentimenti, persino la religione. Siccome è una materia veramente intima, va avvicinata con una grande passione.

Recentemente Davide Oldani ha tenuto una Lecture in BBS. Ha detto che crede molto nei MBA, ma ha aggiunto che per lavorare in questo settore serve molta umiltà. Per umiltà lui intende una cosa molto concreta: andare a lavorare nei locali come cameriere, andare a zappare la terra, andare a conoscere da vicino i territori.

Sono d’accordo. Quando ti appassioni a qualcosa, la devi conoscere in ogni suo dettaglio. Quindi la possiedi, nel senso che non solo sai raccontarla, ma l’hai provata sulla tua pelle. Questo è un aspetto importantissimo, così come sarebbe utile che i critici gastronomici facessero un’esperienza se non proprio in cucina, almeno in sala, così da capire la difficoltà di chi sta dall’altra parte della barricata. Questa è una materia che non si può solo studiare. Non posso immaginare un manager che si occupa di Food&Wine che non ami mangiare o bere, che non abbia piacere in quello che deve fare nella vita. Questo è uno di quegli ambiti in cui lavoro e piacere devono coincidere.

#YourFutureMBA

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