Ci siamo, anche quest’anno. Abbiamo appena preso confidenza con il 2018, talmente poca da sbagliare ancora a scrivere la data, ma siamo più che mai convinti che questo sarà l’anno del cambiamento. L’anno in cui raggiungeremo i nostri obiettivi. L’anno che farà la differenza. Certo è che non possiamo affrontare questa battaglia senza armarci dell’unico strumento che nei primi giorni di gennaio sembra poterci garantire il tanto agognato successo: la lista dei buoni propositi.
L’uomo è un animale rituale e poco importa se ottime decisioni possono essere prese ed attuate anche un 12 marzo qualsiasi, alle 14:27 del pomeriggio. Alcuni giorni, date e ricorrenze, come il lunedì, il 50° compleanno e, ovviamente, il 1° gennaio, hanno una valenza simbolica che va al di là di qualsiasi raziocinio. Oltre ai rituali, anche ciò che comunemente chiamiamo routine, concorre a tenerci in pugno: il 95% dei nostri pensieri sono abitudini, così come il 40% dei nostri comportamenti. Quanto è sensato allora aspettarsi che affidare i nostri obiettivi ad uno schema che si ripete di anno in anno, sempre con lo stesso fallimentare epilogo, possa invece rappresentare un’idea vincente per questi nuovi 365 giorni?
Per poter veramente cambiare i nostri risultati, dobbiamo cambiare paradigma mentale, ovvero il modo in cui guardiamo a noi e alle nostre azioni. La consapevolezza di essere noi stessi contemporaneamente sia il carceriere che il carcerato, certamente non ci facilita il compito. Innumerevoli sono le tecniche proposte dalla letteratura per aiutarci a cambiare prospettiva, dai “4 minute essays” del Dr. Frank Crane, editorialista del Boston Globe negli anni ’20, ai più contemporanei metodi dei life coach e guru dello sviluppo personale. Qualsiasi sia la strada più efficace da percorrere per ognuno di noi, è essenziale comprendere e interiorizzare l’idea che se non cambiamo abitudini mentali, ossia i processi che ci portano a tenere i comportamenti che per noi sembrano naturali e gli unici possibili, siamo destinati a rendere inefficace qualsiasi proposito, per quanto vincente sulla carta.
Per migliorare il proprio nuovo anno, e fissare un trend positivo per quelli a venire, sono molte la azioni che possiamo intraprendere. Nell’ambito lavorativo, da manager, lavoratori o semplicemente studenti, possiamo scegliere un 2018 diverso, migliore sin da subito, agendo su alcune importanti macro-aree comportamentali.
Ripetere gesti e azioni rassicuranti ci dà la falsa sensazione di aver acquisito una certa competenza e autorevolezza nel nostro lavoro. Anni di fatica, tentativi ed errori vengono ricompensati da stabilità e risposte certe a qualsiasi domanda ci si presenti davanti. Una gabbia dorata dalla quale dobbiamo uscire al più presto se non vogliamo rimanere a guardare il dito mentre il resto del mondo si attrezza per raggiungere la Luna.
Un ottimo proposito per cominciare l’anno è quello di non scegliere mai la via più facile, per principio. Affrontare ciò che ci rende vulnerabili è certamente difficile, indipendentemente dal piolo della scala gerarchica sul quale ci troviamo al momento. Chi ricopre il ruolo di manager, direttore o responsabile di un team o un settore, ad esempio, può riconsiderare il suo livello di controllo e imparare a delegare, passando ai propri sottoposti non solo compiti e pratiche, ma principalmente la propria fiducia. Uno studio pubblicato da Forbes evidenzia che un controllo troppo serrato aumenta del 28% la probabilità di “fuga” dei dipendenti verso un diverso impiego.
Un altro modo per uscire dalla propria confort zone è quello di assumere senza timori persone più capaci e più intelligenti di sé. Il management non è luogo dove coltivare insicurezze. A trarre beneficio da questa semplice regola possono essere anche coloro che lavorano da dipendenti o studiano. Volendo essere realistici, esisterà sempre qualcuno migliore di noi, tanto vale prenderlo a modello e averlo in squadra, piuttosto che avversario.
Affrontare costruttivamente i conflitti è senza dubbio un’ulteriore e validissimo metodo per uscire dallo status quo, migliorando la nostra vita lavorativa e di relazione. Il conflitto è sgradevole, comporta tensione, confronto e una comunicazione diretta. Ma saper gestire il conflitto in modo efficace è necessario per mettersi in discussione con i propri dipendenti, superiori o colleghi, trasformando una possibile pentola a pressione in un’occasione di crescita personale e professionale.
Il titolo del saggio di Thomas Merton vuole significare che ogni uomo è una componente integrante dell’umanità, una parte di un tutto. E quel tutto va trattato con cura.
Cominciare a riconoscere i meriti degli altri è il modo più efficace per iniziare a mettere in pratica i buoni propositi legati al miglioramento delle relazioni interpersonali. Tra colleghi spesso vengono spese parole di elogio verso coloro che consideriamo amici, mentre ci ritroviamo a commentare il lavoro di alcuni altri solo quando dobbiamo sottolinearne gli errori. La stessa linea di comportamento viene comunemente utilizzata anche dai superiori, che considerano un buon lavoro come scontato, mentre non perdono occasione di mettere in evidenza ciò che non funziona. Questo meccanismo porta le persone ad auto censurarsi e a ridurre le proprie attività ad azioni consolidate e ripetitive che non comportano rischi, togliendo così a tutto il team il vantaggio di un pensiero creativo e della proattività dei singoli.
Quando si decide di migliorare i rapporti umani, si può con molta tranquillità ridurre il tutto al miglioramento della comunicazione. Parlando di comunicazione poi, è buona norma dare la precedenza alla capacità di ascoltare. Solo quando le persone vengono ascoltate si sentono valorizzate, coinvolte e diventano infine più produttive.
Non solamente la nostra ristretta cerchia di collaboratori va curata, ma tutto il network delle nostre conoscenze professionali. Il networking viene sempre più di frequente visto come una colonna portante del business e come tale va gestito, seguendo una semplice regola: abbandonare la prospettiva del ‘sé’ per entrare in quella della ‘comunità’. Il network non è uno scaffale dal quale prendere ciò che ci serve nel momento in cui ci serve, ma una partnership a lungo termine a beneficio di tutti.
La work-life balance è un tema ormai sdoganato dagli specialisti HR e già analizzato anche da BBS, ma ancora stenta a trovare la sua dimensione nella quotidianità. Quando c’è la sensazione di una soddisfazione complessiva rispetto a quanto fatto, le energie spese e gli obiettivi raggiunti, le ricadute positive per chi lavora e per l’azienda sono molteplici. Una ricerca della società internazionale di consulenza manageriale McKinsey & Company ha mostrato come le politiche rivolte al benessere dei dipendenti permettano di: ridurre le assenze e le malattie fino al 15% con un risparmio annuo di circa 1.350 euro per dipendente; pianificare meglio le giornate lavorative; aumentare di circa il 5% la produttività che equivale a una riduzione della spesa di circa 1.600 euro a persona e diminuire i mesi di congedo per la maternità con rispettivo recupero di 1.200 euro per occupato.
Vantaggi, questi, da non ignorare da parte di chi ha potere decisionale, mentre ai dipendenti spetta la responsabilità di prendere coscienza dell’importanza di condurre una vita privata appagante e di organizzare la propria giornata lavorativa in modo da rendere superflua la maggior parte delle attività solitamente protratte oltre l’orario d’ufficio.
Non solo il bilanciamento tra vita privata e lavoro, ma anche quello tra l’importanza dell’individuo rispetto al team può diventare un ottimo proposito per poter concludere il 2018 meglio di come lo abbiamo cominciato. Saper lavorare in gruppo è attualmente una delle soft-skill più richieste dalle aziende e un team affiatato è certamente il punto di arrivo di ogni organizzazione. Allo stesso tempo però, un buon manager non deve dimenticare che il suo gruppo è composto da individui con competenze, ambizioni e personalità diverse che vanno tenute in considerazione. Un buon leader deve saper integrare le necessità del gruppo con quello del singolo, per valorizzare e sfruttare il valore aggiunto di entrambe le dimensioni. Dall’altra parte, chi lavora alle dipendenze deve trovare un punto d’incontro tra la devozione alla causa comune e la necessità di uscire dalla protezione del gruppo per perseguire uno sviluppo personale.
Qualunque siano i vostri obiettivi personali per il 2018, partite in questa impresa posando delle solide basi. Presa consapevolezza degli schemi mentali e dei comportamenti che ci fanno andare nella direzione opposta rispetto ai nostri piani, è necessario eliminare fin da subito attività, abitudini, eventi e priorità che fanno consumare energia ma non ne restituiscono altrettanta sotto forma di risultati. Individuati i nostri obiettivi, siano essi svariati o anche uno solo, bisogna agire subito. In questo esatto istante, anche se non è lunedì, né il primo giorno del mese, né il primo dell’anno.