Le professioni del futuro chiedono al Paese di affrontare e superare i problemi legati alla formazione. Dal digital divide alla scarsa conoscenza delle tecnologie applicate al mondo della finanza, Emanuele Bajo, Direttore scientifico del Master Full-time in Finance and Fintech BBS, spiega perché “la formazione deve e dovrà sempre di più avere un carattere interdisciplinare” in un intervento pubblicato da Digital Money di Milano Finanza.
L’offerta formativa proposta dalle università e dalle business school italiane in ambito finanziario non è inferiore quantitativamente o qualitativamente rispetto a quanto attualmente proposto nei principali Paesi europei. In ambito di formazione post-universitaria, esistono inoltre diversi programmi di formazione legati all’impatto del digitale e della trasformazione del modo di fare business indotta dall’avvento dello stesso. Restringendo all’ambito delle financial technologies, numerose sono le iniziative proposte dalle business school. Tale evidenza denota una buona capacità del nostro sistema italiano nell’adattare la propria offerta alla dirompente entrata del Fintech, che sta velocemente mutando la struttura dell’offerta di prodotti e servizi finanziari.
È tuttavia lecito domandarsi se, più che un tema di offerta, non vi sia un problema di domanda formativa, o, in altre parole, di consapevolezza da parte dei nostri giovani dell’importanza di questi temi. Esiste infatti una debolezza strutturale in termini di numero di laureati o diplomati master in ambito finanziario e ancor di più in ambito di gestione delle nuove tecnologie. Parte del problema, a mio avviso, è legato alla minore esposizione dei nostri giovani rispetto a queste due dimensioni. Alcuni dati possono aiutare ad avere una maggiore comprensione del problema e della sua portata. L’OCSE organizza ogni tre anni un test PISA (Programme for International Student Assessment) rivolto ai quindicenni delle scuole superiori per verificare e confrontare a livello internazionale le conoscenze in diversi ambiti, quali la matematica, scienze e, dalle ultime due edizioni, anche financial literacy (intesa come alfabetizzazione finanziaria). Purtroppo, l’Italia occupa stabilmente le ultime posizioni negli ambiti collegati alle conoscenze finanziarie e tecnologiche. Su scienze, nell’ultima edizione l’Italia è risultata penultima tra i Paesi europei, subito prima della Grecia. Su financial literacy, tra i 20 Paesi ricompresi nella valutazione, ultima al mondo in termini di risultato atteso sulla base delle competenze generali di lettura e matematica.
Non è naturalmente soltanto un problema di formazione di base. A questo si aggiunge infatti il tema del cosiddetto digital divide su cui l’Italia sconta un forte ritardo rispetto al resto d’Europa. La percentuale della popolazione connessa a internet è fortemente inferiore ai Paesi a noi vicini come Germania, Francia o Spagna; la percentuale di connessione a fibra, quindi di banda veloce, è solo del 7%, contro una media OCSE del 28%. La pandemia ha determinato una fortissima accelerazione nell’uso e anche nelle competenze digitali. In ambito di formazione, con scuole e università passate, nel giro di pochissimo tempo, da una didattica interamente in presenza a una online, si è avuta consapevolezza che attraverso gli strumenti digitali non è possibile sostituire la tradizionale forma di insegnamento de visu, ma che è possibile complementare ed estendere in modo significativo l’esperienza di apprendimento.
Terminata l’emergenza sanitaria, non torneremo al mondo che abbiamo lasciato, ma a uno diverso in cui la familiarità con l’utilizzo delle tecnologie sarà molto superiore e così l’attesa di un sapiente utilizzo delle stesse nell’ambito della formazione. Sarà imperativo per i nostri giovani comprendere che la formazione deve e dovrà sempre di più avere un carattere interdisciplinare. Un numero sempre maggiore di posizioni offerte oggi sul mercato del lavoro non esistevano fino a pochissimi anni fa e molti dei lavori del prossimo futuro non esistono ancora. Essere in grado di adattarsi a questo sempre mutevole scenario impone una formazione interdisciplinare che coniughi solide competenze finanziarie con una profonda comprensione di come artificial intelligence, big data, cloud computing, internet of things e cybersecurity, per citare i nuovi trend più rilevanti, possano modificare il DNA della finanza.
In questo quadro è necessario un intervento a livello di intero sistema: investire sulle infrastrutture digitali, adeguare la formazione scolastica aumentando il numero di ore dedicate alle materie propedeutiche alle nuove tecnologie e all’alfabetizzazione di base e, naturalmente, un’ulteriore spinta da parte delle università e delle business school a favore di una formazione ibrida tra finanza e tecnologia.