Intervista a Leticia Canal Vieira, coautrice di un recente articolo riguardante la transizione ecologica e le azioni necessarie a livello europeo per la sua realizzazione.
La pubblicazione dell’articolo Will the regime ever break? Assessing sociopolitical and economic pressures to climate action and European oil majors’ response (2005-2019) di Leticia Canal Vieira, Mariolina Longo e Matteo Mura, fa luce sull’importanza di pressioni sociale, politiche e economiche per spingere le aziende petrolifere verso una transizioni low-carbon. Dallo studio condotto dai tre studiosi dell’Università di Bologna e del Centro per la sostenibilità e i cambiamenti climatici BBS, risultano alcune evidenze poco incoraggianti, prima fra tutte la scarsa efficacia della politica nell’orientare le decisioni delle principali compagnie petrolifere. Abbiamo chiesto a Leticia Canal Vieira di commentare questi risultati e aiutarci a capire qual è la chiave di lettura corretta dei dati condivisi.
Tra i key facts dell’articolo ce n’è uno particolarmente sconfortante: l’Europa non dispone di un quadro politico globale per sostenere la distribuzione dei combustibili alternativi disponibili. Secondo la sua opinione, soprattutto in questo momento storico, quali potrebbero essere le strade alternative da prendere in considerazione per continuare nella riduzione delle emissioni, nonostante tutto?
Innanzitutto volevo sottolineare che questo dato si riferisce principalmente al settore dei trasporti e in particolare alle infrastrutture necessarie per certe tecnologie. Perché le tecnologie ci sono, come i motori elettrici e i biocombustibili, il problema è che non sempre esiste una rete abbastanza diffusa per garantirne la distribuzione. Dunque le alternative esistono e sicuramente ci sono settori in cui la strada per avere una riduzione delle emissioni di Co2 è più semplice. Osservando i dati, ci siamo resi conto che il settore dei trasporti in Europa non solo non ha diminuito le emissioni, ma le ha addirittura aumentate. Si potrebbe pensare che la causa siano le emissioni da aviazione o navigazione, ma va rilevato anche il notevole contributo delle automobili che utilizziamo nelle nostre città. In quest’ottica possiamo dire che quello che manca è l’impegno nella conversione delle infrastrutture nell’ottica di una distribuzione più efficace.
Per quanto riguarda il momento storico, si evidenzia quanto sia dannoso per un’economia non essere autosufficiente nel suo approvvigionamento energetico e quanto sia importante diventarlo. Nell’articolo menzioniamo il fatto che l’Europa importa praticamente tutto il petrolio che utilizza, il che pone anche un problema di sicurezza energetica. Nel momento in cui abbiamo scritto l’articolo lo scenario non era quello attuale, ma adesso stiamo vivendo esattamente quello che si sperava non dovesse mai accadere e posso solo augurarmi che sia una spinta verso la scelta di adottare soluzioni che sono disponibili, ma sulle quali si sta investendo ancora troppo poco. L’articolo cita anche una delle prime direttive europee che si focalizzava sull’introduzione delle rinnovabili, anche nel settore dei trasporti. Si tratta di una direttiva del 2009 che però non è mai stata decisiva poiché, per quanto ci sia stata un’adozione incrementale di combustibili da fonti rinnovabili, non c’è mai stata la reale volontà di porre fine alla dipendenza da combustibili fossili, ma solo di ridurla. Ovviamente sono da tenere in considerazione i diversi eventi che hanno determinato il fatto che non ci sia stata una spinta più forte in questo senso e questi sono dettagliati nell’articolo.
Un altro elemento che emerge, di conseguenza, dallo studio è che le aziende che operano nel campo dei combustibili fossili non stanno facendo abbastanza. Peter Wadhams, in un recente intervento a Bologna Business School, ha detto che dobbiamo smetterla di chiedere alle aziende petrolifere di impegnarsi per cambiare il sistema e metterle di fronte al fatto compiuto, obbligandole a dirottare gli investimenti verso altre fonti. Se la politica non ha la forza per farlo, potrebbe l’opinione pubblica esercitare pressioni maggiori? E, a questo proposito, come potrebbe cambiare la percezione del problema da parte delle persone, in virtù della crisi che stiamo vivendo in questi ultimi mesi?
La pressione da parte dell’opinione pubblica è importante, ma lo sono tutti i fattori in gioco, nessuno escluso. Il framework concettuale che abbiamo utilizzato per realizzare questo studio si basa proprio sulla necessità di una pressione da parte di attori diversi perché ci sia una reale transizione. Tutti gli attori devono essere coinvolti, in realtà, perché la transizione verso energie rinnovabili presuppone anche un cambiamento dei modelli di business e delle tecnologie impiegate a vari livelli. Quindi pressione dell’opinione pubblica, ma anche politica ed economica, da parte di investitori e clienti: occorrono l’impegno e la precisa volontà da parte di tutti gli stakeholder. Dallo studio emerge che il momento in cui le aziende petrolifere si sono impegnate con maggiori investimenti in rinnovabile è stato quando le pressioni sono arrivate da più parti, dunque da eventi organizzati dalle associazioni di persone, da precise richieste degli investitori e da una presa di posizione da parte della politica. L’obiettivo finale non è ottenere che queste aziende comincino a produrre energie rinnovabili accanto ai combustibili fossili: l’obiettivo è che tutta la società si avvii a completare una transizione energetica verso fonti sostenibili o quanto meno che si smetta di utilizzare combustibili fossili. Purtroppo, un simile cambiamento richiede tempo e la crisi attuale può essere vista come una finestra di opportunità per capire quanto sia importante pianificare azioni di lungo termine che ci permettano di ridurre la dipendenza da combustibili fossili. In questo senso, anche nella nostra analisi rileviamo che, poiché aviazione, navigazione e petrolchimica hanno una continua necessità di combustibili fossili, c’è di fondo una certezza che ne alimenta la produzione e cioè che ci sarà sempre un mercato. Questo dimostra che non basta investire nelle rinnovabili, occorre cambiare le tecnologie alla base di interi settori industriali e creare delle alternative. Non sarà un processo rapido e non potrà essere un cambiamento lasciato interamente in mano alle imprese, per quanto una diversa mentalità possa sicuramente aiutare: deve intervenire la politica a orientare in modo diverso gli investimenti.