Eleonora Foschi è ingegnere ambientale con competenze nell’ambito dell’economia circolare e della bio-economia. Ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università di Bologna con una tesi dal titolo System Innovation and Life Cycle Thinking in the Plastics Value Chain. Durante il post-doc presso il Dipartimento di Scienze Aziendali, ha portato avanti la ricerca sui modelli di business per l’economia circolare. È coinvolta in molti progetti europei e collabora con una molteplicità di istituzioni nazionali e internazionali, pubbliche e private.
L’inserimento del BBS Centre for Sustainability and Climate Change all’interno di Bologna Business School rappresenta un chiaro messaggio di quello che dovrà essere, nell’imminente futuro, il modo di fare business, il quale non può più prescindere dal creare valore sociale e ambientale per mitigare i già visibili effetti del cambiamento climatico.
Per rispondere a tali esigenze, serve affrontare la complessità dei sistemi naturali e antropici in modo sistemico, analizzandone le relazioni e comprendendone i processi di causa-effetto. Diventa quindi fondamentale la multidisciplinarietà che penso sia essere il valore aggiunto del Centro e che va a sommarsi alla caratteristica peculiare di BBS, che è quella di avere una forte impronta collaborativa e inclusiva del mondo aziendale.
Per anni la ricerca è stata, ed è tutt’ora, incardinata in strutture di sapere mono-settoriali che oggi come non mai ne evidenziano i forti limiti, impedendo la creazione di una innovazione socio-tecnica che ruota a 360 gradi attraverso gli ecosistemi sociali, ambientali e industriali.
Durante il dottorato ho avuto modo di fare esperienza in alcuni gruppi e progetti di ricerca studiando prodotti innovativi, macchine e tecnologie che, nel contesto del laboratorio, sembravano avessero ottimi rendimenti ma, se inserite nel mondo reale, perdevano di rilevanza per lo scontrarsi con infrastrutture organizzative incompatibili. Quindi, essere in continuo contatto con organizzazioni pubblico-private e avere così una chiara comprensione dei modelli di produzione e consumo e, lavorare in un team di ricercatori con background diversi, aperto allo scambio di conoscenze, tecniche di analisi e metodi di misurazione, penso siano gli strumenti necessari per fronteggiare la complessità di cui parlavo prima.
Se pensiamo che l’allevamento genera 7,1 GtCO2 all’anno, equivalente al 14,5% delle emissioni globali di gas serra di origine antropica (Gerber et al., 2013) e che tra i principali impedimenti relativi all’applicazione dell’economia circolare c’è proprio una normativa poco esauriente, diventa impensabile l’assenza di tali expertise in un team che lavora alle misure di mitigazione e compensazione al cambiamento climatico. Ne è una dimostrazione l’Agenda 2030 che, attraverso i 17 Sustainable Development Goals e i 169 target, passa in rassegna tutti gli aspetti che ruotano attorno alle tre dimensioni ambiente, società, economia per creare un percorso di resilienza che metta al primo posto la climate e la social justice.
Se contestualizzo il tema nel mio percorso di ricerca, che volge all’economia circolare come mezzo per supportare le aziende verso la transizione a modelli di business sostenibili, emerge la necessità di un confronto continuo e strutturato con esperti giuristi, con cui snocciolare la normativa sull’end of waste, chimici dei materiali con cui comprendere le implicazioni dei nuovi polimeri sulle value chain, ma anche sociologi con cui testare gli i comportamenti dei consumatori etc. Questo percorso mi ha portato ad affacciarmi alle scienze economiche e aziendali per coniugare gli aspetti economico-ambientali. Sarà ancora più stimolate ampliare la platea e coniugare altre esperienze e competenze.
Da ingegnere ambientale, infatti, la mia ricerca si è sempre basata sulla sostenibilità come fine e sull’economia circolare come mezzo per raggiungerla. Negli anni del dottorato e nel post-doc ho compreso come le scelte aziendali possano incidere enormemente sul ciclo di vita dei prodotti/servizi. Se pensiamo al settore delle plastiche che oggi è in grande fermento per via della crescente sensibilità dell’opinione pubblica rispetto al fenomeno del marine littering, il beneficio è evidente.
La scelta che il produttore e utilizzatore di imballaggi fa in fase di progettazione può avere ricadute non solo all’interno dell’organizzazione ma anche e soprattutto nelle successive fasi, dalla commercializzazione, all’uso fino allo smaltimento di quello che diventerà rifiuto. Questo per dire che orientare un modello di business verso la sostenibilità non si limita ad una operazione di marketing o al creare mero vantaggio competitivo. Adottare un modello di business sostenibile non significa solo limitarsi a produrre un materiale o fornire un servizio sostenibile ma equivale a una trasformazione radicale dei sistemi di approvvigionamento, di produzione, di commercializzazione etc. Quindi, tornando all’esempio precedente, se un brand owner decide di utilizzare un packaging più sostenibile dovrà pensare a quale materiale tra plastica, bioplastica, carta, tetrapak etc può creare più valore lungo il suo ciclo di vita, a formare i dipendenti, a creare consapevolezza nei consumatori, a garantire l’effettivo riciclo e il recupero come materia prima seconda e conseguentemente, a creare delle partnership a supporto etc. E, nel fare questi cambiamenti, deve assicurare il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini, la razionalizzazione delle risorse e la creazione di un profitto di lungo termine.
di Eleonora Foschi, Ricercatrice di Economia Circolare e Modelli di Business Sostenibili