Fondatrice della Learning Edge, società di formazione manageriale, professoressa all’Università San Raffaele, Odile Robotti ha tenuto in BBS il workshop organizzato da Valore D “Più donne, più talento, più impresa”. La abbiamo incontrata a margine dell’iniziativa.
Parliamo di Learning Edge. Qual è la mission dell’azienda e che tipo di servizi offrite alle imprese e ai manager?
La mission è colmare il gap tra strategia aziendale e performance delle risorse umane. Troppo spesso lo “scarico a terra” della strategia si inceppa perché le risorse non sono allineate: mancano competenze, motivazioni o atteggiamenti giusti. Noi aiutiamo con corsi, workshop, coaching.
Quand’è che è più efficace investire in formazione per un manager?
Bisognerebbe farlo continuamente. Comunque il passaggio da professional a manager è molto delicato ed è importante supportarlo. I buoni “contributori individuali” non necessariamente sono buoni gestori di risorse. Ma con un po’ di formazione possono diventarlo quasi tutti.
Dopo aver fondato la Learning Edge ha dato vita a Milano Altruista, un’organizzazione di volontariato che opera in un settore completamente diverso. Come mai?
Probabilmente come tutte le donne sono poliedrica e non riesco a definirmi in un solo modo. La nascita di Milano Altruista ha un inizio molto personale. Io volevo fare volontariato e mi sono resa conto che farlo lavorando è molto difficile, perché le onlus che ho contattato mi chiedevano tutte le stesse cose: un corso di formazione che avrei dovuto frequentare in orari e giorni stabiliti da loro e la continuità dell’impegno. Ma io viaggio spesso per lavoro e non potevo garantire questo. Così mi sono ricordata di un’organizzazione che si chiama Hands-on e che opera in oltre 200 città degli Stati Uniti organizzando il volontariato in maniera flessibile. Attraverso il sito web dell’organizzazione si può dare la propria disponibilità nei giorni in cui si è liberi. Ho allora deciso di portare questa formula in Italia: mi sono confrontata con amici appassionati di no profit ma che, come me, lavorano nel mondo for profit. E insieme abbiamo deciso di partire. La formula ha avuto molto successo a Milano, tanto che la stessa esperienza è stata replicata a Roma. Oggi esiste anche a Bologna (BolognaAltruista), a Trieste e in Irpinia. Infine abbiamo avviato anche ItaliaAltruista, associazione sociale che ha lo scopo di aiutare gruppi di cittadini a far partire altre “città altruiste”, tutte rigorosamente no-profit.
Quali sono gli ostacoli maggiori che ha dovuto affrontare nella sua carriera?
Io ho lavorato in ambienti molto maschili. E’ stato così sia in Ibm sia in McKinsey: c’erano molti più uomini che donne, e c’erano troppe poche donne leader. Questo ti scoraggia e ti fa sentire un pesce fuor d’acqua. Ricordo lunghe trasferte con colleghi uomini che facevano di tutto per farmi sentire integrata. Però il fatto di essere sempre l’unica donna era psicologicamente pesante. Anche guardare verso l’alto e non vedere altre donne ti insinua mille dubbi e incertezze. C’è sempre un momento nella carriera di ciascuno di noi in cui bisogna scommettere su noi stessi. E per scommetterci bisogna crederci. Per molte donne questo momento coincide con l’età in cui mettono su famiglia, e così a tante manca il coraggio di scommettere. Perché per una donna la scommessa è 100 volte più difficile. Ci vuole un coraggio da leone.
Il sottotitolo del suo libro “Il talento delle donne” (Sperling & Kupfer, 2013) è “Avere successo nel mondo del lavoro rimanendo se stesse”. C’è una differenza tra leadership al femminile e al maschile?
E’ possibile creare un modello di leadership “femminile” senza rinunciare alla propria identità e quindi senza doversi adeguare al modello prevalente?Ancora oggi il modello prevalente è quello improntato al maschile. Però le cose stanno cambiando verso un modello più androgino: il leader è decisionista, ma incorpora alcuni tratti considerati tipicamente femminili, come la capacità di ascolto, le capacità relazionali, l’empatia. La leadership femminile è diversa da quella maschile: le donne hanno uno stile di leadership più partecipativo, democratico e più trasformazionale, ovvero cerca di sviluppare il collaboratore come individuo. E, effettivamente, nelle organizzazioni piatte questi tratti della leadership sono i più utili. Restare se stesse è il mio primo consiglio. Mentre la prima generazione di donne che ha lavorato ha dovuto mascolinizzarsi, perché quella probabilmente era l’unica strada, adesso restare se stesse è diventato possibile. Anche se facciamo ancora più fatica degli uomini e quando saltiamo noi alzano l’asticella: questo purtroppo è ancora una realtà.
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