Head del Digital Marketing di Automobili Lamborghini S.p.A., Roberto Ciacci è un grande esperto del mondo del Web. E’ docente del Master in Marketing Communication e New Media di Bologna Business School.
Lei si è affacciato al mondo del Web venti anni fa, quando ancora le potenzialità delle rete non erano ancora esplose al livello di oggi. Che cosa l’ha affascinata in quel momento di quel mondo e che tipo di possibilità ha intravisto?
La mia “prima volta” sul Web risale alla primavera del 1995. All’epoca il mio “Web” era l’edicola, sembra incredibile ma è così: un luogo in cui potevo spaziare fra mille riviste, anche estere, collane di fantascienza, settimanali di musica e avere accesso a informazioni che non riuscivo a trovare altrove. Curiosamente, proprio in edicola ho scoperto il numero uno di “Internet News”, credo che fosse il primo mensile italiano interamente dedicato al Web e a Internet. Da quel momento è stata una folgorazione: nel Web ho trovato spunto per i miei interessi (all’epoca oltre all’Università, coltivavo la mia passione per la musica come conduttore radiofonico) e, appena tre anni più tardi, ero in stage presso NETTuno, uno dei maggiori Internet Service Provider italiani.
Nella storia del web negli ultimi venti anni quali sono stati i momenti cruciali?
In questi 20 anni ho avuto il privilegio di vedere nascere il Web in Italia. I momenti cruciali sono stati tanti: c’è stato il pre-Web, quello delle BBS e dei protocolli (archie, FTP, Gopher), che risale a prima del 1995. Poi il Web è entrato nelle Università e lentamente nelle case con costosi collegamenti via modem. Nel 1995 è arrivato il free Web con Iperbole, la prima rete civica italiana di cui sono stato uno dei primi iscritti, e con i CD allegati alle riviste di informatica che offrivano account di connessione gratuita. Formata una base di utenti, sono arrivate anche le imprese. C’è stata la wave di Google, che ha spodestato Altavista come principale motore di ricerca e ha decisamente cambiato le nostre vite. E c’è stata la corsa all’oro in Borsa, fino al 2001, con l’era delle dotCom. Fra il 2001 e il 2003 un salto quantico: nascono i blog, prima negli States, e poi anche in Europa, e arriva il Social Web. Si diffondono le piattaforme gratuite di blogging e contemporaneamente si assiste alla diffusione della larga banda.Dal 2004 altro giro di ruota con la prima wave dei social media che porta il nome di Linkedin, Youtube, Flickr e Facebook. Infine dal 2009, in parallelo al successo degli smartphone, l’esplosione del mobile Web. E l’evoluzione continua …
Nel 2008 ha fondato una delle maggiori Business Community locali italiane (BolognaIN), un’iniziativa che le ha dato molta visibilità. Come è nata questa idea?
Ho creduto fortemente in un progetto collaborativo e partecipato. Avevo intrapreso da poco più di un anno un’attività libero professionale e volevo essere in rete con la città in cui vivevo e lavoravo. All’epoca Linkedin era una piattaforma molto giovane e in crescita. L’intuizione giusta fu quella di aggregare attorno ad un gruppo Linkedin le persone che come me vivevano e lavoravano a Bologna, alternando momenti di condivisione online a eventi informali off-line. La visibilità locale è stata pazzesca: evidentemente c’era un bisogno latente di un’iniziativa come quella.
In che modo, secondo lei, i nuovi media hanno cambiato le modalità di marketing nelle aziende?
I nuovi media hanno cambiato tutto. La comunicazione è passata da push a pull. Le aziende che lo hanno capito hanno investito in contenuti di qualità e hanno utilizzato i nuovi media per connettersi alla propria audience. Detto questo, i media tradizionali non sono morti: la radio per esempio gode di ottima salute.
Lamborghini è una grande realtà internazionale e un marchio complesso. Come si riesce a creare un senso di Community fra una pluralità di clienti con background culturali molto diversi?
Lamborghini è un brand fortemente aspirazionale. La Community di brand lovers si è raccolta spontaneamente attorno ai touch point ufficiali non appena l’azienda si è affacciata sui social media, ormai 4 anni fa. Oggi è fra i brand automotive con il più vasto digital footprint, ma resta un produttore di auto super sportive altamente esclusive. La Community dei clienti è invece ben espressa dalla rete dei club ed è ovviamente molto limitata in numero e c’è particolare attenzione alla privacy. Gli uni e gli altri si riconoscono nel brand e nei suoi valori. Lamborghini è un’icona italiana, simbolo di design, performance e di un certo stile di vita.
Che tipo di competenze sono necessarie per lavorare in questo settore?
Servono competenze diverse. Un background tecnico è molto utile, perché la comunicazione e il marketing sui nuovi media sono diventati molto complessi. Si pensi per esempio al programmatic media buying: non a caso si parla di Ad Tech! Nei nuovi media le technicalities del “medium” si mescolano indissolubilmente al “messaggio”. Prendiamo come esempio un sito web: perché sia ben indicizzato su Google non bastano doti di copywriting e una buona architettura dell’informazione, ma serve anche un codice pulito e un server con ottimi tempi di risposta.
Che ruolo hanno le business school nel formare la figura del social media manager?
Quella del social media manager è una figura non codificata. Spesso è frutto di autoformazione, un pizzico di improvvisazione e molto personal branding. Per costruirsi basi solide consiglio di frequentare un Master e verificare sempre il curriculum e l’esperienza sul campo dei docenti. La possibilità di inserirsi, in forma di stage, in un contesto lavorativo reale a fine Master è sicuramente un’opportunità unica.
Che consiglio darebbe a uno studente che vuole lavorare in questo settore?
Di non smettere mai di studiare. I nuovi media mutano troppo rapidamente per adagiarsi sulle conoscenze acquisite. E poi consiglio di coltivare un proprio progetto: il learning-by-doing è fondamentale, soprattutto per coprire quelle aree del sapere e del saper fare che la formazione tradizionale riesce a colmare solo con un certo ritardo.
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