Sono passati più di trent’anni da quando, nell’aprile 1983, nasceva Tavernello, primo vino italiano in brik. Una scelta innovativa e audace, che si è rivelata vincente. Della storia e del successo di questo marchio abbiamo parlato con Roberto Sarti, responsabile Private Labels e Merchandising di Caviro, a margine del suo incontro con la Community dell’EMBA Coop e con gli studenti del master universitari full-time.
Il principale prodotto Caviro è il Tavernello, il vino più noto e più venduto in Italia. Come siete riusciti a fidelizzare un numero così alto di clienti?
In tutti i grandi successi c’è sempre una serie di condizioni ambientali, culturali, sociali che li favoriscono. Così è stato per Tavernello. All’inizio degli anni 80 i consumatori, che cominciavano a servirsi nella grande distribuzione, avevano l’esigenza di utilizzare contenitori più comodi e leggeri rispetto alle bottiglie di vetro. Tetrapak, importante multinazionale del packaging, era alla ricerca di un produttore di vino col quale effettuare dei test, mentre Caviro aveva a disposizione notevoli quantità di vini adatti alla circostanza, all’epoca imbottigliati solo in vetro. Tetrapak aveva (ed ha) il suo stabilimento di ricerca e sviluppo vicino Modena, Caviro aveva (ed ha) il suo stabilimento principale a Forlì, la distanza era breve: così fu messo a punto il progetto di un vino in brik, un contenitore che aveva bisogno di essere “approvato” dal Ministero dell’Agricoltura di concerto col Ministero della Sanità. Per oltre una anno furono effettuati test presso la facoltà di Agraria dell’università di Bologna. Dai test risultò che il brik conservava il vino allo stesso modo (se non meglio) del vetro, proteggendolo dall’aria e dalla luce, acceleratori del processo di invecchiamento. E così arrivammo al lancio di Tavernello, un prodotto leggero (in tutti i sensi), comodo, simpatico e di eccellente qualità. Il successo è dunque frutto di un incontro virtuoso tra realtà imprenditoriali e accademiche che si sono incrociate sulla direttrice della via Emilia.
Il Tavernello è prodotto da decine di migliaia di soci. Qual è il valore aggiunto di questo tipo di produzione?
Abbiamo 32 cantine sociali con oltre 10.000 soci e questo ci consente di poter contare su una produzione continuativa e diversificata. I nostri fornitori sono anche i nostri soci, ergo i “titolari” dell’azienda, coloro che per primi hanno interesse a fornire il miglior prodotto. Caviro garantisce loro un reddito continuativo, dunque c’è un rapporto di reciproca soddisfazione e dipendenza. Un aspetto peculiare che ci contraddistingue nel rapporto con i soci è la tracciabilità. Potendo contare principalmente sui nostri fornitori/soci, ormai da anni abbiamo messo a punto un programma di tracciabilità efficace, reale e verificabile online. Basta digitare il lotto di produzione del Tavernello e si può facilmente risalire alla cantina sociale che ha fornito quel vino. Internamente siamo in grado di rintracciare anche il singolo viticoltore che lo ha fornito. Come siete riusciti a mantenere una politica di contenimento dei prezzi?Poter contare su grandi quantitativi di prodotto consente di fare economia di scala negli acquisti così come nella produzione e nella distribuzione. Abbiamo linee produttive che lavorano 24 ore su 24 per 5 giorni alla settimana – a volte anche il sabato – e questo consente di ammortizzare con più rapidità i costi degli impianti. Inoltre possiamo contare sul massimo livello di tecnologia disponibile sul mercato perché ogni volta che Tetrapak lancia sul mercato nuove macchine, queste vengono immediatamente installate in azienda; lo stesso vale per la tecnologia del comparto vetro, nel quale stiamo crescendo in modo esponenziale, in particolare proprio con il marchio Tavernello che è sempre più leader anche nel segmento in bottiglia.
Che ruolo hanno avuto gli spot pubblicitari e le campagne di marketing nel determinare il successo del prodotto?
Tavernello rappresentò un’innovazione anche nella scelta del mezzo televisivo per raccontarsi e per aumentare velocemente la propria distribuzione. Negli anni sessanta e settanta c’erano state un paio di aziende che avevano fatto pubblicità televisiva: brevi comparsate. Negli anni ottanta non c’era più nessuno che se la potesse permettere perché i vini sono storicamente dei prodotti locali e non si investe in una costosa campagna su scala nazionale se la distribuzione del prodotto è limitata nel territorio. Quando partimmo con Tavernello, facemmo la scelta di passare immediatamente alla grande distribuzione organizzata, quindi potemmo subito puntare sulla comunicazione televisiva per coprire tutto il territorio nazionale in cui eravamo già presenti. L’investimento fu significativo, ma sapevamo che il mezzo televisivo, allora ancora più impattante di oggi, avrebbe creato immediatamente immagine, ricordo e richiesta.
Quali sono i piani per il futuro?
Il mercato italiano del vino è ormai saturo. I consumi sono in calo dall’inizio anni 60, quando hanno raggiunto il picco: l’Italia era una nazione agricola e chi lavorava nei campi lo usava come alimento. All’epoca il consumo medio era di 120 litri pro capite, neonati inclusi. Oggi siamo a meno di 1/3 dei consumi di allora. La ragione è che il vino non è più, come in passato, un alimento o un accompagnamento fondamentale per i pasti: sta infatti diventando sempre di più un prodotto da aperitivo e fuoripasto. Tuttavia, mentre in Italia siamo arrivati a una fase di devoluzione dei consumi, in altri paesi la domanda è in crescita. Per questo stiamo puntando molto sull’estero dove, negli ultimi 10 anni, abbiamo ottenuto risultati davvero significativi.Tavernello è venduto in milioni di pezzi in Germania, in Russia, in Cina, in Giappone e in tanti altri paesi. All’estero sanno che Tavernello è “il vino più venduto in Italia”, e questo è già una garanzia per chi apprezza il nostro Paese: non si domandano se è in brik o in bottiglia, fermo o frizzante, comprano il marchio leader in Italia. Oltre un sesto del fatturato di Caviro (nel totale più di 300 milioni di euro) ormai è conseguito fuori dall’Italia, ed è in continua crescita. Il nostro obiettivo è dunque continuare a svilupparci fortemente all’estero, sia in Europa che negli Stati Uniti e nei paesi orientali.
Che consiglio darebbe a uno studente che vuole lavorare in questo settore?
Mi rendo conto che la generazione attuale, rispetto a quella a cui apparteniamo io ed i miei coetanei, è sicuramente meno fortunata perché la selezione per accedere al mondo del lavoro è molto più difficile che in passato. Molti posti scompaiono, sostituiti da un software o da una tecnologia innovativa, ma questo non vale per tutto e tutti: la componente umana e quindi le singole caratteristiche, capacità e competenze, rimangono indispensabili, specie in un comparto così importante come quello alimentare. In ogni caso ciò che consiglio è di non rinunciare mai a proporsi, di tentare sempre, senza preoccuparsi del livello di ingresso in azienda, pur di lavorare nel settore Food a cui si tiene. Se si è persone valide, si troverà certamente il modo di emergere. Se devo riassumere tre caratteristiche indispensabili (anche se non sufficienti): forza di carattere, serietà, disponibilità. Quindi non fatevi abbattere e sappiate che l’impegno porta ad un risultato, anche se non sempre (e non subito) è quello che si desiderava. Ma insistete, e le porte si apriranno.
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