Il Digital Marketing? Oggi passa anche da inclusione e diversità

Luglio 28, 2021

Di Andrea Pia

Andrea Pia è esperto di Digital Marketing, VP Client Services e membro del consiglio di AKQA Italia. È stato il co-fondatore di H-ART (ora AKQA), una delle startup di maggior successo nata in H-FARM nel 2005 e venduta a WPP Group nel 2009. È Executive Director dell’International Executive MBA in BBS. In questo articolo parla di Trasformazione Digitale nella fase post-pandemica, prefigurando uno scenario in cui diversità e inclusione saranno le parole chiave per le aziende che vogliono davvero trasformarsi, attrezzandosi per affrontare un futuro emozionante e ricco di sfide. 

La pandemia ha avuto tra i suoi effetti quello di rendere ancora più centrali e prioritarie le strategie di digital marketing. In questo contesto anche il concetto di diversità e inclusione, esteso alle sue estreme conseguenze, è diventato un fattore chiave di crescita non solo individuale. Il modo in cui voglio vivere la mia vita mi rende diverso da tutti e saper interpretare chi sono e attivare di conseguenza una trasformazione nelle modalità e negli strumenti di comunicazione diventa un punto di forza per i brand. 

Alcune marche erano già in fase di ascolto e cambiamento e si sono trovate a vivere un’accelerazione inattesa, ma comunque prefigurata, che ha dato ulteriore energia nel procedere. La fase di ascolto, che è sempre necessaria per introdurre il cambiamento, era già in qualche modo in atto ed è stato così più facile realizzare nuove modalità di relazione e di risposta alle mutate esigenze. Sono nate integrazioni e-commerce, ma anche retail, che dimostrano una notevole accelerazione nella ricerca di un cambiamento nel modo di creare esperienze di vendita. Certo le esigenze c’erano ed erano già prese in considerazione: le code, ad esempio, erano un problema anche prima, ma se prima l’utente le viveva con fastidio, nello scenario pandemico e post pandemico ha preso a evitarle decisamente. Ecco allora che quello che prima era un fattore di innovazione diventa una questione di sopravvivenza

La differenza è, dunque, tra chi questi cambiamenti li stava già osservando ed era, in qualche modo, preparato e chi non era abbastanza attento o semplicemente era poco concentrato su questi temi di innovazione, non considerandoli centrali nella propria strategia, e si è trovato a doverli rincorrere. In termini di comunicazione basta osservare come sono cambiati gli spot pubblicitari. Faccio questo esempio prendendo volutamente il mezzo di comunicazione più tradizionale di tutti, il commercial tv, che è spesso l’ultimo punto di contatto che viene aggiornato, e mi ricollego al tema della diversità e dell’inclusione. Si è passati da una fase pre-pandemica in cui si parlava di un mondo che non esiste, di un’immagine idealizzata di noi e del contesto in cui viviamo, a una fase in cui, naturalmente, si parlava quasi solo di pandemia. È stato un bagno di realtà, ci ha costretto a tuffarci nella vita vera, ha portato persino lo spot tv a dover dare un’immagine reale della vita delle persone. Ancora una volta, un evento difficile si è rivelato un’opportunità perché adesso ci rendiamo conto che la varietà del mondo, delle famiglie, delle coppie è molto più rappresentata di prima. 

I brand hanno capito che devono parlare del mondo reale, di quello che le persone vivono. E anche qui c’è chi questo processo l’ha subito e chi lo ha guidato: per alcuni brand è venuto quasi naturale, per altri è più forzato, ma quel che è certo è che oggi chi non interpreta la realtà è fuori. 

Perché il digitale è fondamentale in questo? Perché il digitale non è una tecnologia, non è una piattaforma: è l’era in cui viviamo. L’interpretazione del cambiamento, la modalità di fruizione dei contenuti, il modo di comunicare, sono tutti aspetti che si sono evoluti prima per il mobile, dato che tutti abbiamo iniziato ad avere sempre con noi uno smartphone, e poi perché tutta la comunicazione e le relazioni sociali hanno iniziato ad essere mediate da una serie di mezzi che, inevitabilmente, condizionano il nostro modo non solo di comunicare, ma anche di essere. In questo caso, lo strumento fa la persona e riconoscerlo è fondamentale. Passare più di un anno a lavorare via Zoom, solo per fare un esempio, non può non averci cambiato. 

Rispetto ai brand sono ottimista perché sto vedendo un cambiamento concreto, portato avanti con attenzione. Quello che rimane un punto di domanda è quanti di questi sapranno portare questo cambiamento al centro, nel cuore del proprio purpose e poi nei processi e nei servizi, cioè nel modo di fare business, e per quanti resterà una mera facciata. Sarà questo a determinare vincitori e vinti. 

In questo passaggio epocale ci sono due dimensioni da tenere in considerazione. La prima è quella delle competenze, che è molto ampia e, per il nostro punto di osservazione in particolare, coinvolge prima di tutto chi progetta. Nello specifico parliamo di designer di prodotto, ma anche di servizi. C’è la consapevolezza che bisogna ripensare non solo la comunicazione, non solo le marche, ma che la ridefinizione del purpose di marca deve essere calata anche sul prodotto, sull’esperienza o sul servizio. 

Tornando alle competenze, si conferma la ricerca di persone che sappiano interpretare e leggere i dati. Questo è il tema del futuro, non è una ricerca che tutti stanno facendo, ma le aziende più all’avanguardia sono senza dubbio in cerca di persone capaci di intercettare e comprendere i segnali deboli, futuri driver di innovazione. Non si tratta di cogliere i trend di stagione, ma di sviluppare all’interno di un’impresa le capability necessarie per anticipare e preparare la risposta a ciò che accadrà in termini di reale scenario, dalla prossima disruption dal punto di vista tecnologico e sociologico, alla prossima pandemia. 

L’altra dimensione è legata, invece, ai profili intesi in modo più orizzontale, al di là delle competenze. Una certezza è che le aziende sono in cerca di profili più imprenditoriali. Per interpretare il cambiamento serve una mentalità in grado di rompere lo status quo. Oggi le aziende sanno che non possono essere loro a dare completamente la direzione alle nuove generazioni, ma si aspettano da queste un contribuito per individuare e far crescere nuove soluzioni. Devono dunque diventare sorgente non solo di energia, ma anche di conoscenza sociale, indispensabile nello scenario fin qui delineato. 

Questo scenario si scontra con un’altra realtà in divenire: le modalità di lavoro. Dopo l’esperienza di smart o remote working, resa necessaria dalla pandemia, molte aziende hanno preso atto dell’opportunità di alcune scelte e non prevedono di tornare al punto di partenza. C’è un po’ di timore di non saper integrare e formare persone a distanza senza poterle affiancare, a figure più senior in grado di trasmettere non tanto solo competenze e processi, quanto valori e senso di appartenenza. Ancora una volta diventano fondamentali quelle soft skill che un profilo più imprenditoriale porta naturalmente con sé, in un contesto in cui i processi sono in costante evoluzione.

Vi sono poi tutta una serie di elementi più tecnici che diventano fondamentali. Ad esempio la capacità di utilizzare strumenti di collaborazione avanzati. Non è un caso se molte aziende, Zoom per citare la più famosa, siano cresciute così tanto: per questo nuovo scenario di collaborazione occorrono nuovi strumenti e chi lavora è chiamato a saperli utilizzare per una gestione efficiente della collaborazione online. In questi termini parliamo di digitalizzazione delle persone, che deve avvenire in ogni ambito, anche nei più improbabili, come ad esempio quello commerciale, che per tradizione si è sempre basato sul contatto diretto. 

Parlare di Trasformazione Digitale, oggi, significa riportare l’essere umano al centro. Ogni persona, come forse mai prima d’ora, è in cerca di un equilibrio e si tratta, naturalmente, di una ricerca individuale. La pandemia ha costretto molti di noi a un forte cambiamento e la costruzione della prossima fase delle nostre vite è un campo in cui ognuno ha necessità diverse e che sfida organizzazioni e imprese a contribuire alla loro soddisfazione cercando nuove strade, sempre più a misura del singolo, nella sua unicità. 

La ricerca di nuove modalità di sviluppo professionale, di realizzazione personale e di una nuova dimensione famigliare e di comunità, era un trend già in atto prima della pandemia, ma lo tsunami provocato dal Covid 19 ha costretto tutti a una fortissima accelerazione. Smart working, didattica a distanza, nuove tecnologie che diventano di uso quotidiano hanno portato molte persone a fermarsi e farsi domande su come e con chi desiderano veramente costruire il proprio futuro, su quali sono le modalità giuste per una dimensione lavorativa sostenibile e adatta alle proprie esigenze più profonde, anche sul piano sociale. 

Il tema dell’inclusività diventa allora dimensione di business importante: per essere o restare rilevanti occorre saper ridisegnare processi, prodotti ed esperienze tenendo conto di tutte le variabili individuali. Che spesso non sono quelle che ci aspettiamo e qui torna in primo piano l’importanza dell’ascolto per comprendere quali esperienze ridisegnare e per chi. Nessuno, in ogni caso, vuole essere catalogato in un cluster, quindi non parliamo solo di ridisegnare esperienze per includere ogni tipologia di target con particolari caratteristiche, ma di non far sentire alle persone che sono incasellate in uno standard. 

Per quello che riguarda la formazione la prima cosa sulla quale le istituzioni devono puntare, e rispetto alla quale mi sento di dire che BBS è leader, è il pensiero critico. Essendo saltati tutti gli schemi, si tratta di rimettere in discussione come e perché vengono fatte le cose e di chiedersi da dove è necessario partire per ricostruire. Questo modo di pensare in BBS è trasversale a tutti i corsi, permea ogni cosa che fa la Scuola e deriva da una visione del business e delle persone a tutto tondo, dalla parte economica e sociale a quella umana e di valori fino all’innovazione, innestata in un territorio e in un contesto produttivo che è leader in molte applicazioni. 

La seconda è la capacità di insegnare e coltivare l’imprenditorialità. Questo in risposta non solo alle mutate esigenze delle imprese, come sopra indicato, ma anche alla necessità di creare manager e imprenditori orientati concretamente all’innovazione in un mondo che avrà una sempre maggiore necessità di affrontare costanti cambiamenti.

Altro elemento fondamentale, e anche qui il riferimento a BBS è diretto, è la capacità degli enti formativi di “moltiplicare le opportunità”. Nel momento in cui saltano gli schemi oltre alle competenze conta la capacità di reinventarsi, di far leva sulle proprie risorse, ma anche sul proprio network e sulla community di riferimento. In termini di offerta formativa è importante poter sempre contare su corsi che forniscono competenze di base trasversali al mondo del business. Questo perché in assenza di regole è importante tornare ai fondamentali del business che sono sempre validi. Dare le regole base, insegnare un approccio e fornire degli strumenti su cui costruire e costruirsi diventa cruciale perché una ricetta, uno schema, una formazione basata su dati di fatto, potrebbero rivelarsi inadeguati ad affrontare le sfide del cambiamento, che rimane sempre l’unica certezza. Naturalmente, alla formazione generalista vanno affiancati elementi specialistici, dall’innovazione al Sales and Marketing, occorre partire dai basic per poi poter approfondire i fattori che sono driver della nostra economia, come ad esempio l’Automotive, il Food o il mondo del lusso. In questo modo apertura mentale e competenze specifiche si incontrano formando leader che sapranno guidare l’impresa del futuro nei diversi settori e discipline. Questo permette alla singola persona di costruire un proprio percorso, diventano fautore del proprio successo professionale. Dell’importanza della comunità per trovare i propri riferimenti, anche lavorativi, ho già parlato, ma voglio concludere citando nello specifico la Community BBS che è stimolo a coltivare quel pensiero critico utile alla formazione e alla crescita, ma è anche un supporto concreto alla realizzazione dei propri progetti.



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