Il cibo. Un bene primario, emanazione della nostra cultura e tradizione. Una cura, sia per il corpo che per l’anima. Un business, quello del patrimonio alimentare Made in Italy, sul quale può contare un export nazionale che raggiunge 1,2 miliardi di persone in tutto il mondo.
Mercoledì 15 novembre, a Bologna, inaugura FICO Eataly World – una società partecipata da Eataly World, Coop Alleanza 3.0 e Coop Reno – che promette di attirare nel capoluogo emiliano quattro milioni di visitatori già nel primo anno di attività. Sopprannominato “Disneyland del cibo”, il parco tematico accentra su di sé 150 tra piccoli artigiani, imprenditori e grandi consorzi, che racconteranno in modo inedito il comparto food italiano e la sua filiera.
La risposta ad un nostro bisogno primario diventa così edutainment allo stato puro, un viaggio tra educazione e intrattenimento su 10 ettari di biodiversità italiana, che si snoda tra 2 ettari di campi e stalle con più di 200 animali e 2000 cultivar, 40 fabbriche e 43 ristoranti. FICO, Fabbrica Contadina Italiana, si inserisce da protagonista in una rete di attività e progetti volti a trasformare il consumo alimentare in un’esperienza di ludico e consapevole arricchimento culturale. Partendo da Slow Food, movimento culturale internazionale nato nell’86 a Bra, fino al concept di EXPO Milano 2015, si passa dai progetti nelle scuole alle numerose ‘botteghe’ e ‘sartorie’ del gusto, fino ad arrivare alla feconda editoria sul cibo e alle star dell’alta cucina.
Viene da chiedersi se questa recente necessità di restituire importanza ad un rituale antico come l’Uomo stesso, non sia altro che una manifestazione diffusa e pacifica di una rinnovata voglia di affermare il proprio valore come singoli individui. In un mondo ormai votato a una schizofrenica corsa al profitto, la rivendicazione del diritto a un pasto estraneo all’omologazione di sapori e culture, diventa un movimento di rivoluzione culturale.
Il mercato del food, d’altro canto, sembra aprire scenari che vanno ben oltre il crescente apprezzamento delle eccellenze agroalimentari e della biodiversità agricola. Il 2017 segna il record storico per il Made in Italy alimentare all’estero, con una crescita del +10,9% nei primi sei mesi del 2017 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, secondo un’analisi della Coldiretti sui dati Istat. L’80% dell’export alimentare italiano è rappresentato da marchi industriali di prestigio prodotti a denominazione protetta (Dop, Igp), destinati principalmente al mercato europeo e statunitense, ma anche a soddisfare la crescente richiesta da parte dei paesi asiatici e dell’Est Europa.
Il business del cibo ha raggiunto anche il mondo digitale, dove la partenrship tra cibo e tecnologia genera un volume d’affari che sfiora i 135 miliardi di euro, con un trend in crescita. Foodscovery e WineoWine, applicazioni di food delivery che operano nell’eccellenza italiana, hanno raccolto da sole 800mila euro dai rispettivi investitori. Insieme, le startUp nostrane attive nel comparto alimentare, muovono più di 14 milioni di euro di investimenti. Numeri incoraggianti, certo, che fanno intravvedere un settore ad altro rendimento, ma ancora lontano dall’essere sfruttato appieno. Infatti, arriva dall’Italia solo l’11% delle nuove imprese su scala mondiale che coniugano innovazione e agricoltura, a fronte del 52% di imprese statunitensi (fonte: Osservatorio SmartAgriFood).
Il futuro sembra convergere su modelli innovativi legati a soluzioni km 0 e iper-locali, che integrano la facilità d’utilizzo delle applicazioni alla produzione agroalimentare locale, biologica e sostenibile. Le abitudini alimentari stanno convergendo verso una nutrizione consapevole e qualitativamente elevata, che tiene però in considerazione i serrati ritmi di vita dei consumatori.
Nell’ecosistema alimentare italiano, FICO rappresenta sicuramente un progetto visionario ma complesso, non solo per la sua vastità e la responsabilità di rilanciare il Paese che inevitabilmente si porta dietro, ma soprattutto per l’ambizione di fare sistema sul territorio. “Una città in cui nel Medioevo ogni famiglia aveva una torre, sta imparando a fare squadra,” scrive Max Bergami, Dean di Bologna Business School, sulle pagine de Il Sole 24 Ore. “Il modello di business è molto interessante perché è costruito sulla complementarietà tra il Fondo che ha investito 120 milioni, Eatalyworld che porta competenze e marchio, istituzioni che riescono a valorizzare un bene pubblico con ricadute positive per la collettività e la Fondazione che intende portare competenza scientifica coniugata al know-how delle professioni che fanno riferimento alle casse previdenziali che hanno investito.”
Pensare in grande e globale, lavorando sul piccolo e locale. Sembra essere questa la ricetta suggerita da FICO Eataly World per affrontare con successo il futuro.
Per preparare alle sfide del comparto alimentare, Bologna Business School propone percorsi per formativi ad hoc per sviluppare competenze di management, marketing e finanza assieme alle strategie per l’export e alle logiche dei canali distributivi oggi disponibili: