Attitudine al problem solving, creatività, curiosità intellettuale, energia e passione. Sono queste le principali caratteristiche che i candidati devono possedere per risultare appetibili sull’odierno mercato del lavoro. Il ritratto del dipendente ideale si compone però di un altro tratto caratteriale, tanto ambito quanto inconfessato dai recruiter più esperti di mezzo mondo: l’insicurezza. Quest’ultima, unita ad ottime competenze e ad una consolidata esperienza, crea l’insecure overachiever, termine preso in prestito dal mondo anglosassone per identificare coloro che vivono con un continuo senso di inferiorità il confronto con i colleghi e si autoimpongono altissimi standard lavorativi per giustificare la propria presenza, e posizione, in azienda.
È il ritratto di una nuova generazione di lavoratori brillanti, eccezionalmente capaci e fieramente ambiziosi, ma guidati da un profondo senso della loro stessa inadeguatezza, a emergere dallo studio di Laura Empson, Professore di Management delle Società di servizi professionali presso la Cass Business School di Londra. Le oltre 500 interviste condotte per il suo libro Leading Professionals (con il significativo sottotitolo Power, Politics and Prima Donnas), hanno evidenziato uno schema mentale ben preciso: l’intangibilità del lavoro intellettuale accresce l’insicurezza dei professionisti e trasforma i colleghi in competitor.
Questo fenomeno è stato sfruttato specialmente dalle aziende e dalle organizzazioni elitarie del mondo della finanza, dell’avvocatura, della consulenza e del tech, le quali selezionano i candidati migliori per farli poi entrare in gruppi di lavoro dove la loro performance verrà misurata proprio dal confronto diretto tra i rispettivi risultati raggiunti. Questo tipo di gestione delle risorse umane, unito al metodo di promozione up or out (promosso o fuori), trasforma per molti il luogo di lavoro in un’arena dove combattere quotidianamente per dimostrare il proprio valore.
Con l’avvento della crisi economica e della relativa instabilità dei posti di lavoro, lo stacanovismo fomentato dall’insicurezza ha poi raggiunto tutti i lavoratori, di ogni livello e nei più svariati tipi di azienda. Se un tempo l’accordo non scritto tra dipendente e azienda prevedeva anni di dura gavetta per poi godersi i privilegi dell’avanzamento di carriera, oggi è sempre più comune trovare alle 9 di sera persone ancora al lavoro negli uffici, a partire dai manager per arrivare, a scendere, fino agli stagisti. La tendenza a lavorare oltre gli orari canonici e a sfocare la linea di demarcazione tra vita lavorativa e privata, viene rinforzata dal forte controllo sociale intrinseco alla cultura aziendale. Ciò significa che anche chi non soffre di insicurezza da performance, sente la pressione del giudizio di colleghi e superiori, adeguandosi a sua volta ai ritmi imposti dal gruppo.
Gli insecure overachiever sono pertanto incredibilmente attraenti per le aziende, essendo automotivati e autodisciplinati, mentre il loro esempio spinge spesso anche gli altri collaboratori ad un maggiore impegno. La loro performance eccezionale è inoltre coadiuvata da una ferma convinzione che sono loro stessi a scegliere questo ritmo di lavoro e pertanto non viene mai messa in discussione la politica aziendale né tantomeno percepito un senso di sfruttamento. Il risultato è che, nel momento in cui gli insecure overachiever diventano loro stessi leader nelle loro organizzazioni, replicano automaticamente il sistema di lavoro straordinario e di controllo sociale che li ha creati.
Se l’insicurezza agisce come carburante per questa categoria di lavoratori dipendenti, diventa un problema non indifferente quando quest’ultima incontra le responsabilità di un ruolo dirigenziale. I manager scarsamente convinti delle proprie competenze e capacità di leadership, tendono ad evitare il confronto e i feedback, non spiegano le proprie decisioni e non chiedono mai aiuto o consigli ai propri collaboratori. Inoltre, i leader insicuri tendono al micromanagement, ovvero ad uno stile di gestione attraverso il quale controllano da vicino l’operato dei collaboratori, entrando nei minimi dettagli dei progetti e chiedendo continue modifiche. In questo modo, le decisioni riguardanti il progetto vengono indirizzate dalla necessità di ottenere la costante approvazione del superiore, piuttosto che in base dalla convenienza per la riuscita del progetto stesso. Oltre a rallentare il lavoro del gruppo, il micromanagement crea pertanto disimpegno tra i lavoratori, al punto da aumentare il turnover aziendale. Secondo uno studio di bamboo.hr, addirittura il 44% dei dipendenti intervistati ha deciso di lasciare il lavoro a causa dell’invadente controllo del proprio capo.
Per avere dipendenti impegnati e coinvolti, è necessario dare loro responsabilità, indipendenza e, in definitiva, anche il merito del loro lavoro. Toni Belloni, Managing Director di LVMH, è intervenuto durante la Graduation 2018 di BBS ricordando che un buon leader deve preoccuparsi di sviluppare appieno le potenzialità dei propri collaboratori, non di essere lui stesso il migliore. “L’importante, nella vita come in azienda, è saper ascoltare e costruire relazioni umane forti. Non si ottiene molto dall’isolamento, è necessario saper combinare l’intelligenza collettiva e la diversità dei talenti. Sono da sempre una persona relativamente insicura, ma ho trasformato questa caratteristica in un punto di forza: mi preparo più accuratamente, apprezzo di più l’opinione degli altri e non mi prendo troppo sul serio.”
Fare leva sull’insicurezza personale dei dipendenti può indubbiamente portare a un incremento della produttività nel breve termine, ma va a minare alcuni importanti pilastri dell’organizzazione aziendale. La valorizzazione del capitale umano è un fattore fondamentale nella gestione delle organizzazioni, che spesso ne determina la stabilità e il successo. Bologna Business School offre, a coloro che hanno come obiettivo professionale ruoli manageriali nell’ambito delle Risorse Umane, il Master Full-time in HR & Organization. Il programma ha un focus internazionale, che si traduce in collaborazioni con docenti, imprese di successo e manager provenienti dalle realtà più avanzate in questo settore. L’esperienza in aula è inoltre arricchita dallo sviluppo di un proprio progetto professionale, volto al miglioramento di comportamenti e attitudini al lavoro in team. Il master ha ottenuto l’accreditamento EPAS ed è inoltre patrocinato dall’European Association for People Management (EAPM) e dall’Associazione Italiana per la Direzione del Personale (AIDP).