Inserito da Forbes nella prestigiosa lista dedicata ai 100 manager più influenti d’Italia, Cristiano Boscato, Adjunct Professor e Direttore Esecutivo dell’Open Program Artificial Intelligence e Machine Learning in BBS, è owner ed EVP di Injenia, azienda italiana leader nei progetti di innovazione digitale. In questa intervista parliamo del rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana, di innovazione tecnologica e società e della visione del futuro contenuta nel suo ultimo libro.
La tecnologia affascina e trasforma le aziende e la vita degli utenti e temi come Artificial Intelligence e Machine Learning sono ormai all’ordine del giorno per chi si trova a operare nel mercato contemporaneo. Come si avvicinano i meccanismi di questi due elementi alla componente umana imprescindibile nelle realtà aziendali?
Il tema del rapporto tra persone e macchine (dove per macchine intendo gli algoritmi di AI e ML) è sicuramente all’ordine del giorno. Devo dire che – ahimè – trovo tanta informazione volta a esaltare il potere delle macchine, quasi con fede tecnocratica, piuttosto che a spaventare rispetto al futuro – dal “le macchine prenderanno il potere” a “toglieranno il lavoro alle persone”, mentre ne trovo poca seria e consapevole. Infatti, dobbiamo ragionare a partire da due considerazioni. La prima è che allo stato dell’arte, gli algoritmi sono “stupidi”, cioè non senzienti. Vengono “allenati ” per scopi specifici attraverso dati di partenza, che permettono loro di imparare e di dare quindi degli output. Ma chi decide che dati dare agli algoritmi, per quale scopo, per poi valutare i risultati ottenuti sono le persone. Le macchine da sole non fanno niente. La seconda è che si tratta di strumenti potentissimi, che stanno migliorando a velocità esponenziali e che cambieranno profondamente il nostro modo di vivere e lavorare. Ecco allora che la risposta alla domanda è abbastanza immediata: servono persone formate, preparate e consapevoli su come si usano questi strumenti. Non da un punto di vista tecnico, ma di potenzialità e di possibilità offerte. Servono poi persone formate in generale sulla tecnologia, sui dati e sul business della propria azienda. Infatti, gli algoritmi ci possono permettere di vedere fenomeni in chiave diversa per quantità di dati e qualità degli stessi, ma chi prende le decisioni sono le persone. E le decisioni si prendono bene se si hanno gli strumenti per valutare realmente la bontà di quello su cui si sta ragionando. Essendo strumenti potentissimi, se non si hanno le basi per poter decidere consapevolmente, si corre il rischio di fare grossi danni. Altro aspetto fondamentale del rapporto persone/macchine è quello etico. Riguarda le nostre vite. Appunto perchè sono le persone a prendere decisioni, e poiché questi strumenti sono potenti, se usati in maniera malevola possono generare fenomeni distorti di enorme gravità. Ecco perché dobbiamo essere informati e formati non solo per il nostro lavoro, ma anche per le nostre vite. Serve meno retorica e più consapevolezza. Sono strumenti che possono migliorare enormemente le nostre vite e il nostro lavoro, se usate in maniera intelligente. L’intelligenza è umana, non artificiale.
L’Open Program in A.I. & Machine Learning Roadmap & Business Opportunity, in cui svolgi il ruolo di Direttore Esecutivo, si focalizza su tematiche fortemente orientate al futuro e alle prossime sfide in questo senso. Quali sono i nuovi scenari che si aprono attraverso queste nuove tecnologie?
Come dicevo nella risposta precedente, gli scenari sono enormi e siamo appena all’inizio di questa rivoluzione. Le potenzialità degli strumenti di AI e ML sono ancora non del tutto esplorate, ma stanno già cambiando la vita di tutti noi. Questi algoritmi sono usati per decidere che pubblicità farci vedere, per studiare le nostre abitudini politiche o come consumatori, per studiare i fenomeni finanziari, ma anche climatici. Oppure stanno cambiando totalmente alcuni settori. Pensiamo agli scacchi, dove ormai un software casalingo può battere il campione del mondo di scacchi (vedi la recente polemica sulle truffe), o al fatto che Deep Mind, società di Google che sta portando la frontiera sul tema, ha potuto svelare la struttura tridimensionale di oltre 200 milioni di proteine (prima quelle svelate erano circa 300mila) praticamente tutte quelle conosciute, dando un boost enorme – in pochissimo tempo – alla biologia, alla medicina, alla farmacologia.
Le nuove tecnologie fanno notizia e in teoria sono sempre una promessa di nuove opportunità e successi. Nella pratica però si pone il problema di rendere le innovazioni applicabili su larga scala e di individuare l’innovazione necessaria e appropriata alla propria realtà aziendale in un dato margine temporale. Come si affronta concretamente questo problema e quali sono le skill che un manager deve avere per farlo in modo efficace? Vista la natura delle tematiche, ci troviamo di fronte ad argomenti in grado di evolversi a una velocità estrema, spesso con cambiamenti repentini. Come si può affrontare questo aspetto?
Come dicevo prima, oggi saper ragionare di tecnologia e di dati è imprescindibile per ogni manager. Ogni persona in azienda deve saper ragionare degli strumenti tecnologici più adatti al proprio lavoro e ai propri task, così come da saper leggere e interpretare i dati relativi al proprio lavoro. Solo così possiamo rimanere al passo con la velocità del cambiamento. Delegare la competenza al reparto IT oggi è un grave errore. L’ IT ha un’ altra funzione, che è tecnica e specialistica. Ma solo le persone di business possono sapere bene cosa gli serve per fare bene il loro lavoro. Servono quindi aziende che lavorino su questo e formino le loro persone. Così come devono essere formate sulla capacità di saper ragionare sul proprio business, di conoscerlo a fondo (anche attraverso i dati). La base di partenza è questa. Poi servono soft skill legate alla capacità di saper comunicare con i propri colleghi in maniera proficua, e di saper ingaggiare le persone e motivarle. Il manager del futuro è un mix di tutto questo: conoscenza della tecnologia, di dati e di business, capacità di saper dialogare in maniera positiva sia con figure tecniche che di business. Una figura a metà tra competenze di materie STEM e competenze umanistiche. Credo molto infatti nell’importanza di una buona base umanistica per essere un manager di successo.
Serve però che le aziende si muovano in maniera organica e veloce: il cambiamento è repentino e non lascia spazio ai tentennamenti. Nemmeno per chi oggi crede di essere in una posizione di dominio sul proprio mercato.
Da poco è uscito il tuo primo libro “In una notte d’estate ho visto il futuro”. Parla di tecnologia e di prospettive per le aziende, ma anche di persone. Puoi darci qualche insight rispetto al contenuto del libro? Quali sono state le domande che ti hanno indirizzato verso questo tuo primo lavoro editoriale? Il confronto con gli studenti di BBS è stato in qualche modo stimolante rispetto alla stesura?
Il libro nasce proprio dalle lezioni in BBS, dai miei speech agli eventi e convegni, e in generale dal confronto che ho avuto nei progetti di innovazione di questi ultimi dieci anni con le principali aziende italiane. La domanda chiave del libro è una: come possono le aziende gestire il cambiamento e le sfide del futuro una volta per tutte? Senza toppe o tattiche di breve periodo, ma con un orizzonte chiaro e duraturo?
Ho sentito la necessità di provare a dare una risposta diversa dalla solita retorica a questa domanda – sicuramente già sentita e risentita – provando a spostare il focus a partire dal fatto che dobbiamo dare per scontato che l’unica cosa certa è e sarà il cambiamento. Le aziende come le conosciamo cambieranno, così come il lavoro che oggi facciamo. Da qui ho provato a dare una risposta organica e completa, lavorando su 3 sezioni che per me sono gli aspetti chiave da tenere in considerazione: Persone, Tecnologie e Cultura/Organizzazione. Nelle mie esperienze, si tende a focalizzare solo su uno di questi 3 aspetti verticalmente, mentre io ho cercato un approccio olistico. E’ quindi un libro per imprenditori, ma anche per manager o neolaureati. Chiunque voglia provare a ragionare di più su come migliorare l’azienda o in azienda. Parlo di organizzazione, ma anche di team e di responsabilità del singolo. La cosa particolare del libro è che ho provato a dare un taglio narrativo: è un racconto di un viaggio in Sicilia, dove in ogni capitolo accade qualcosa che diventa la metafora del concetto che sto cercando di spiegare in quel capitolo. Poi il viaggio trova la sua conclusione, e con questo arrivano anche le risposte alla domanda iniziale. Ma non dico altro per evitare lo spoiler. Anche se alla fine la risposta è: equilibrio dinamico (non il maggiordomo)
Da poco sei entrato nella Top 100 dei manager italiani di Forbes, hai raggiunto questo traguardo lavorando su tematiche e realtà in prima linea rispetto all’innovazione. Quale sarà il prossimo passo? Su cosa devono puntare i manager che faranno parte della prossima Top 100?
Più che il prossimo passo, parlerei dei prossimi passi, perché ho tanti progetti e idee in testa. A partire dal contribuire a far crescere ancora Injenia e il gruppo Maggioli, o dall’internazionalizzazione di Interacta, uno dei prodotti/software di cui vado più orgoglioso, che sta ottenendo riscontri enormi sul mercato italiano. O dal vedere fare ramp up alla mia ultima startup Enchora. E poi ho un paio di nuovi progetti in arrivo. Più in generale però – qualsiasi cosa faccia e farò – mi interessa mantenere la barra dritta su alcune tematiche, le stesse che esploro nel libro: contribuire, giorno dopo giorno, a cambiare la cultura delle aziende verso un approccio che metta al centro le persone. Significa sostenibilità, inclusione, spazio ai giovani (non di età ma di “testa”), e un approccio che ci porti a essere soddisfatti del lavoro che facciamo e che ci metta in condizioni di esprimere al meglio il nostro potenziale. Credo che i tempi siano maturi per questo cambiamento, grazie anche al supporto della tecnologia. Con Interacta ad esempio abbiamo realizzato un manifesto dell’interazione naturale dove mettiamo su carta le 30 tesi per il lavoro collaborativo del futuro, volto alla realizzazione e alla felicità lavorativa di ognuno di noi. Ecco, credo che il riconoscimento di Forbes, oltre che per i risultati di questi venti anni, passi proprio per il cercare ostinatamente – nei corsi e ovunque ne abbia avuto l’occasione – di ragionare e di portare avanti questo disegno del futuro. Un disegno fatto di responsabilità di ogni persona di un team, fatto di cultura consapevole, e di crescita collettiva in azienda. Potrei andare avanti ore approfondendo questi temi. La risposta alla domanda è questa: essere manager oggi significa in primis essere in grado di mettere le proprie persone in condizione di esprimersi al meglio. Il resto è naturale conseguenza, compreso il successo economico.