I protagonisti dei nostri QuaranTalks hanno parlato di ripresa facendo leva su tre punti cardini: innovazione, digital e sostenibilità. In che termini l’economia circolare può essere la via per ripartire in seguito all’emergenza sanitaria?
L’abbiamo chiesto a Matteo Mura, Direttore Scientifico dell’Executive Master in Sustainability and Business Innovation e Professore Associato in Ingegneria Economico Gestionale presso l’Università di Bologna.
“Come ricercatore, è molto difficile parlare di un fenomeno quando è ancora in atto. A livello nazionale e globale stiamo assistendo a una crisi dei sistemi sanitari che sta avendo la meglio su tutto il resto – come giustamente dev’essere. In termini di implicazioni economiche, un primo scenario che, in alcuni (fortunatamente pochi) contesti è stato proposto, è che per evitare che la crisi sanitaria inneschi una spirale negativa trasformandosi in collasso economico, i paesi allentino i vincoli ambiental adottati.
A conferma di ciò, si consideri che una delle prime politiche messe in atto da Trump negli Stati Uniti all’inizio della pandemia, è stata rendere più soft le norme sulle emissioni di CO2 industriale, tra cui le emissioni del settore automotive imposte dall’amministrazione Obama, abbassando la soglia di riduzione annua dal 5% a solo l’1,5%.
Così, alcuni, ritengono che con l’obiettivo di far ripartire le attività produttive al più presto, la via migliore sia di allentare – o direttamente togliere – i vincoli ambientali che regolano le attività di business. Si tratta di uno scenario drammatico perché, come rilevato da un recente articolo di Marianna Mazzucato [economista dal 10 aprile nella task force di Vittorio Colao – ndr], stiamo vivendo una serie di crisi concatenate: quella sanitaria di brevissimo termine che innescherà una crisi economica già in atto di medio termine, legata a sua volta a una crisi ambientale di lungo termine. Queste tre crisi non sono scollegate, al contrario, sono fortemente integrate tra loro. Recenti studi paiono dimostrare che la diffusione del covid dipenda, da un lato dalla perdita della biodiversità di ecosistemi naturali che non fanno più da filtro di agenti patogeni, e dall’altro dalla qualità dell’aria di alcune zone, come testimonia l’alto tasso di inquinamento della pianura padana, non a caso tra le più colpite dalla pandemia.
Queste tre crisi devono essere gestite in modo fortemente sinergico: se gestiamo solo l’emergenza sanitaria, le altre due crisi non potranno che peggiorare. Allo stesso modo se ci preoccupiamo esclusivamente della crisi sanitaria ed economica, l’impatto ambientale sarà catastrofico. É necessario avere una visione sistemica di queste tre crisi, che con tempi diversi si stanno abbattendo sui nostri sistemi economici e sociali. Pertanto, non dobbiamo fare un passo indietro, ma anzi due in avanti su quei temi legati alla sostenibilità, che sono l’antecedente che potrebbe aver scatenato questa pandemia, e contemporaneamente anche il punto di arrivo di queste tre crisi concentriche.
Bisogna inoltre considerare che, in questo scenario di economia globalizzata, le value chain sono estremamente lunghe, per cui si produce in Cina per vendere negli Stati Uniti, per esempio. Questo è un problema perché in una fase in cui gli stati chiudono la produzione in tempi diversi, queste catene così lunghe e articolare portano inevitabilmente a non approvvigionare in modo adeguato. Una logica di economia circolare, invece, potrebbe avere dei benefici molto forti, perché anzitutto accorcia le filiere: lo scarto di un processo produttivo, che tecnicamente si chiama materia prima seconda, diventi l’input di un altro processo produttivo, offre la possibilità di creare ecosistemi che lavorano in simbiosi, grazie a filiere corte. Ciò non significa che siano collocate necessariamente nella stessa area, ma con una collocazione di prossimità spaziale: oltre a questo c’è un tema di riduzione del rischio in fase di approvvigionamento e di livellamento dei prezzi.
In questo contesto, l’economia circolare si pone come un’opportunità di business da implementare in tutti i settori. “Una recente indagine che abbiamo condotto su un campione di 260 imprenditori di PMI – conclude Mura – ha dimostrato che la prima barriera con cui si scontra l’adozione di pratiche sostenibili è il costo percepito. Eppure, le aziende che hanno già avviato queste logiche hanno rilevato una vantaggiosa razionalizzazione dei costi grazie a una maggiore efficienza dei processi produttivi, accanto a un posizionamento strategico differenziale che il mercato richiede sempre di più”.
Autore: Matteo Mura