Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’ondata di acquisizioni e di passaggi societari molto importanti nel settore della moda e delle imprese di prodotti di lusso. I motivi per cui alcuni azionisti di controllo vendono l’impresa possono essere negativi (soprattutto una crisi aziendale o una difficoltà nel passaggio generazionale) o positivi (iniezione di maggiori capitali per l’espansione internazionale). Chi compra è spesso un grande gruppo della moda e del lusso, ad esempio uno dei tre di maggiori dimensioni (LVMH, Kering, Richemont) o un fondo di private equity.
Le sinergie di brand però sono limitate: i marchi di ciascuno di questi gruppi non possono essere troppo mescolati a livello comunicativo o distributivo, proprio per l’alta specificità dei posizionamenti e per la necessità di mantenere distinte le identità costruite nel tempo. I fondi di private equity svolgono invece un lavoro tradizionale di partecipazione, anche di controllo, da valorizzare e rivendere entro un tempo di 4-6 anni. Quando i fondi di private equity, al termine del percorso di valorizzazione, vendono (come nel caso di Yoox-Net-A-Porter), di solito il compratore è di nuovo un grande gruppo (nel caso specifico, Richemont) o altri fondi.
Il processo di concentrazione in atto sembra quindi a prima vista un fenomeno quasi ineluttabile. Le sinergie immobiliari (per l’espansione del retail) e finanziarie sono in effetti molto rilevanti. Tuttavia esistono alcuni casi che fanno pensare che questa non sia necessariamente una strada in una sola direzione.
Un caso sorprendente è quello di Sergio Rossi, l’ottima impresa di calzature italiana ceduta dal fondatore dell’azienda al gruppo Gucci-Kering nel 1999. Dopo l’acquisizione si parlava di sviluppo internazionale del brand, con apertura di molti negozi e molti investimenti. Ma una delle prime cose che è stata fatta è il trasferimento dell’headquarter a Milano. E dopo 16 anni di risultati non brillantissimi l’azienda è stata ceduta da Kering a Investindustrial, un fondo che aveva già avuto in portafoglio Ducati e che ora ha, tra gli altri, Aston Martin.
Le dichiarazioni di intenti del nuovo management riguardano ripartire dalle origini. Ridare centralità alla fabbrica, come centro di creazione del prodotto e non solo di esecuzione, e anche riportando i valori verso le caratteristiche identitarie; ad esempio predisponendo orari di lavoro che consentono di avere due ore nella pausa pranzo per andare a mangiare a casa o vicino al mare. Dal punto stilistico stanno lavorando sull’archivio e gli stilemi identitari per reinventare il passato in chiave moderna.
Sembrerebbe quindi che, almeno in quel caso, l’integrazione dell’azienda in un grande gruppo non sia andata a buon fine perché si stavano perdendo di vista le radici del brand, utilizzando la fabbrica come qualcosa di periferico e non dando una nuova strada allo sviluppo autonomo dell’azienda.
Un problema simile sembra lo abbiano incontrato altri brand, come La Perla e Mandarina Duck (anche in questo caso la prima cosa che è stata fatta dal gruppo coreano acquirente è stato spostare dal luogo originario l’headquarter, denotando quello che potremmo definire un “conformismo del centralismo”); si tratta anche in questo caso di brand che hanno avuto vari passaggi societari senza mai trovare un metodo di crescita che mantenesse l’indispensabile filo conduttore con l’heritage e i valori che ne avevano costituito la crescita iniziale. Recentemente, Kering ha anche annunciato la cessione della partecipazione (che era una quota del 50%) in Stella McCartney, alla stessa fondatrice del brand.
I grandi gruppi della moda e del lusso hanno come obiettivo la crescita, tramite la ricerca di sinergie immobiliari, nel retail, finanziarie e manageriali. Seppure non sia possibile identificare una ricetta perfetta e univoca per il successo nel business, è innegabile che una crescita stabile possa essere garantita solo da efficaci competenze di management e da un atteggiamento di lungo periodo nel processo di costruzione del brand. Noi di BBS formiamo manager con una forte visione e le capacità operative necessarie per stabilire un equilibrio tra la creatività e il business nella gestione delle imprese del lusso. Il Global MBA in Design, Fashion and Luxury Goods di Bologna Business School ha come obiettivo quello di mettere a disposizione il know-how maturato dall’eccellenza italiana, per formare nuove generazioni di leader d’impresa che sappiano integrare la sensibilità per il prodotto con conoscenze manageriali necessarie per affrontare anche le nuove sfide economiche e finanziarie poste dal mercato globale.
Angelo Manaresi, Direttore del Global MBA in Design, Fashion and Luxury Goods