Leadership Talks – Peter Wadhams, The Evidences of Climate Change Effect

Dicembre 22, 2021

Protagonista del secondo dei Leadership Talks BBS, dedicati alle sfide che le organizzazioni dovranno affrontare nel futuro post pandemico, Peter Wadhams è autore del saggio “A Farewell to Ice”, Emeritus Professor della University of Cambridge e Chairman del Comitato Scientifico di Extreme E.

L’intervento di Wadhams ha affrontato il difficile e purtroppo molto attuale tema degli effetti dei cambiamenti climatici. Il suo è un punto di vista particolarmente autorevole perché, oltre ad essere un professore e un autore, è uno dei massimi esperti viventi in ghiaccio marino e oceani polari. Vincitore di numerosi riconoscimenti per il suo impegno nella ricerca sul campo, Wadhams ha condotto circa cinquanta spedizioni polari, inclusi sei celebri viaggi in sottomarino al Polo Nord, ed è membro della Royal Geographical Society, dell’Accademia Finnica e dell’Arctic Institute of North America. 

Proprio le sue esplorazioni in sottomarino, a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, gli hanno permesso di raccogliere dati che hanno dimostrato come nella regione polare il cambiamento climatico stia agendo in modo veloce e decisivo. In quegli anni, infatti, Wadhams cominciò a notare un assottigliamento dello strato di ghiacci a nord della Groenlandia del 15%. Una percentuale che alla fine degli anni Novanta aveva già raggiunto quota 40% rispetto ai due decenni precedenti. Gli studi di Wadhams gli permisero di pubblicare un’importante ricerca su Nature nel 1990, che restò però a lungo un grido di allarme inascoltato, mentre il saggio “A Farewell to Ice” è del 2017 e delinea una situazione ulteriormente peggiorata: nel 2012 il ghiaccio marino ricopriva 3,4 milioni di km2 di Oceano Artico, mentre negli anni Settanta erano 8 i milioni di km2 ricoperti di ghiaccio. 

Nel corso del suo intervento, che è iniziato con la raccomandazione ad approfondire il tema attraverso il documentario Ice on Fire prodotto e narrato da Leonardo Di Caprio e disponibile su Netflix, Wadhams ha mostrato la situazione attuale dei ghiacci polari e spiegato come e perché la loro costante diminuzione impatta sul riscaldamento globale. Tra le principali conseguenze della diminuzione dei ghiacci artici troviamo la diminuzione dell’albedo la cui conseguenza è un aumento della temperatura globale che equivale a circa 25 anni di emissioni di anidride carbonica. Oltre a questa, occorre considerare la fine dell’effetto di condizionamento dell’aria, utile a mantenere intorno a 0 gradi la superficie dell’acqua attraverso il contatto delle masse d’aria con il ghiaccio marino. Se viene meno il ghiaccio, la temperatura dell’acqua può arrivare in superficie anche a 7 gradi, provocando lo scioglimento del permafrost e rilasciando nell’atmosfera grandi quantità di gas serra.

I gas serra, primo fra tutti l’anidride carbonica, è alla base del riscaldamento globale e la loro emissione non accenna a diminuire. Si calcola, infatti, che dal 1960 a oggi il tasso di crescita di anidride carbonica sia stato tale da arrivare a interferire attivamente con il sistema naturale in una modalità senza precedenti, forse addirittura più grave di quel dissesto climatico, provocato, si pensa, da un asteroide, che ha comportato l’estinzione dei dinosauri. 

Una molecola di CO2 persiste nel sistema climatico oltre 100 anni e la quantità che è già presente nell’aria ha ancora un elevato potenziale di riscaldamento, forse addirittura la metà del totale. Il livello, al momento, è pari a una media di 409 parti per milione (ppm), a fronte di un livello tollerabile che si assesta intorno alle 280 ppm. La comunità scientifica concorda sul fatto che un valore soglia sicuro sia intorno alle 350 ppm: per raggiungerlo, eliminando ogni anno l’1% di anidride carbonica dall’atmosfera, sarebbero necessari circa 45 anni. Occorre allora pensare a dei metodi integrati: riduzione delle emissioni ed eliminazione dall’aria della CO2, poiché risulta sempre più evidente che la sola riduzione delle emissioni ormai non è più in grado, da sola, di risolvere il problema. La sfida del futuro, soprattutto per chi si occupa di sostenibilità oggi, è dunque anche di tipo tecnologico, perché forse sarà proprio l’innovazione a salvare il futuro del pianeta. 

Wadhams ha illustrato anche una brevissima storia del ghiaccio artico inevitabilmente collegata alla storia delle variazioni climatiche. Negli ultimi 2 miliardi di anni il clima sulla Terra è cambiato lentamente, alternando lunghe fasi calde ad altrettante fasi fredde. Negli ultimi 6 milioni di anni la temperatura media della Terra è stata sufficientemente bassa da permettere che minimi sbalzi di temperatura, dovuti al moto terrestre, provocassero quelle ere glaciali che hanno caratterizzato l’evoluzione umana sul pianeta. In seguito, il clima è rimasto abbastanza stabile da permettere all’uomo di crescere e svilupparsi, fino alla svolta della rivoluzione industriale quando le temperature hanno iniziato a crescere in modo incontrollato. Il riscaldamento globale, dunque, è iniziato dalla metà del 19° secolo ed è stato chiaramente dovuto alla decisione di bruciare grandi quantità di carbone prima e di combustibili fossili poi. Il primo grido di allarme in questo senso è del 1896, da parte di uno scienziato svedese che indicò chiaramente le cause del riscaldamento globale. 

La situazione della sparizione del ghiaccio artico è un problema essenziale in questo senso. In estate il ghiaccio scompare: negli ultimi anni lo scioglimento del ghiaccio estivo è stato superiore rispetto alla sua crescita invernale e, nel giro di qualche anno, rischiamo di avere un settembre artico privo di ghiacci. Perché se tutto il globo risponde al cambiamento climatico, l’Artico risponde molto più rapidamente”. Per illustrare la situazione, Wadhams ha mostrato alcune immagini significative del “prima e dopo” l’aumento delle temperature, che comporta ovviamente anche una perdita di territorio costiero e di sicurezza negli spostamenti. Il ghiaccio pluriennale, ormai praticamente scomparso, ha infatti uno spessore di 2.5 metri che lo rende molto sicuro, mentre il ghiaccio stagionale, che si riforma ogni inverno, raggiunge uno spessore massimo di 1,5 metri, per poi sciogliersi d’estate. “Abbiamo perso tre quarti del ghiaccio artico estivo in 40 anni” ha detto Wadhams, che ha poi mostrato altri effetti dello scioglimento dei ghiacci e illustrato a fondo le differenze tra ghiaccio pluriennale, ormai perduto, e ghiaccio stagionale, anche avvalendosi delle immagini e dei grafici ripresi dalle navi e dai sottomarini sui quali ha condotto le sue ricerche.  

Tra le immagini degli incendi in Siberia, che continua a bruciare anche sotto la neve, “ghiaccio nero” in Groenlandia che si scioglie e scivola verso il mare, contribuendo a innalzarne il livello, dati e grafici che lasciano senza parole, Wadhams spiega come il futuro da qui a 5 anni potrà essere caratterizzato da eventi atmosferici molto gravi la cui origine è proprio nei danni che abbiamo provocato all’ecostistema dell’artico, vera e propria barriera climatica del nostro pianeta. A rischio tutti i Paesi costieri, che potranno assistere a enormi migrazioni di massa provocate da inondazioni. Ma non solo. Se non realizzeremo gli obiettivi internazionali, mantenendo l’innalzamento della temperatura sotto 1.5°C, dovremo affrontare diversi eventi che metteranno a rischio la nostra sopravvivenza. Se da un lato la popolazione aumenterà, e con essa anche il fabbisogno di cibo, dall’altro il riscaldamento globale porterà a una riduzione delle aree coltivabili, dei raccolti e delle risorse idriche disponibili. Il prezzo del cibo aumenterà di conseguenza e con esso anche la povertà, soprattutto in aree ad elevata crescita demografica come l’Africa, e i problemi sociali e di gestione dei flussi migratori ad essa correlati. Ecco perché il grande tema della sostenibilità oggi è legato non solo alla natura, ma anche alla sopravvivenza della specie umana. 

Wadhams ha concluso il suo intervento tornando sugli obiettivi prefissati di riduzione della CO2  non solo in termini di abbattimento delle emissioni ma anche per quanto riguarda lo sviluppo di nuove tecnologie che consentano di rimuovere l’eccesso di anidride carbonica già presente nell’aria, illustrando le più attuali e interessanti. Wadhams spiega che esistono soluzioni interessanti, sulle quali occorre continuare a investire, ma perché vengano implementate serve anche che decisioni vengano prese da parte delle classi politiche. Le soluzioni suggerite dalla comunità scientifica devono essere concretamente implementate dai governi, altrimenti iniziative come la Cop 26 rischiano di diventare inutili.



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