La pressione competitiva influenza molte scelte aziendali, anche di natura contabile e finanziaria, poiché le imprese adattano le loro strategie alle mutevoli condizioni ambientali. Studi empirici evidenziano, per esempio, come le imprese operanti in mercati più competitivi distribuiscano meno dividendi e cerchino di detenere più cash per rispondere prontamente alle strategie aggressive dei competitors. Il livello di competizione è perciò una variabile che influisce negativamente sugli investimenti in capitale e in ricerca e sviluppo, specialmente quando le barriere all’entrata in un mercato sono basse, con effetti sulle future prospettive di crescita.
Gli analisti finanziari sono professionisti che studiano le imprese quotate, in larga parte attraverso l’utilizzo dei bilanci pubblicati, per suggerire ai loro clienti l’eventuale acquisto di azioni o obbligazioni. Sotto questo profilo, gli analisti possono essere visti come degli intermediari che elaborano informazioni complesse (innanzitutto, i dati e le informazioni nei bilanci) per aiutare gli investitori a prendere decisioni sull’allocazione dei loro risparmi (ossia, comprare o meno un certo titolo quotato). Tale attività si sostanzia tipicamente nella previsione degli utili futuri (o Earnings Per Share) a cui si associa un determinato prezzo atteso.
In un recente articolo, pubblicato sul periodico Review of Accounting Studies, Marco Maria Mattei, Direttore del Master in Finanza, Controllo e Auditing di Bologna Business School, e Petya Platikanova, Professore Associato all’ESADE Business & Law School, hanno investigato se e come la pressione competitiva sul prodotto modifichi la precisione delle previsioni degli analisti sugli utili e quali siano le cause di tale eventuale minore o maggiore precisione.
L’esistenza e il segno di una relazione fra competizione e capacità predittiva degli analisti non sono da dare per scontati. Da un lato, infatti, ci si può aspettare che la maggiore competizione aumenti la volatilità dei futuri flussi di cassa e, conseguentemente, renda più difficile prevedere le future performance aziendali. Dall’altro, è possibile che una maggiore competizione induca le imprese a modificare la quantità e la qualità delle informazioni fornite al mercato attraverso i bilanci, in due opposte direzioni: comunicare di più ai mercati, per tranquillizzarli e mantenere basso il costo dei miei finanziamenti (agevolando quindi il lavoro di previsione degli analisti); oppure comunicare di meno ai mercati, per paura che i competitors leggendo i bilanci acquisiscano troppe informazioni sulle decisioni attuali e prospettive future (rendendo quindi più arduo il lavoro di previsione degli analisti).
Lo studio mostra che effettivamente una crescente competizione riduce la precisione delle previsioni degli analisti, ma che tale riduzione è solo in parte spiegata dall’aumento della volatilità delle performance. Con l’incremento della minaccia competitiva, infatti, le imprese mediamente riducono la qualità dell’informazione in bilancio e limitano l’informativa al minimo richiesto per legge. L’effetto combinato dell’aumento della volatilità delle performance e di un decadimento del livello quali-quantitativo delle informazioni fornite dalle imprese, quindi, rende molto più arduo per gli analisti finanziari la previsione degli utili futuri.
Questo risultato evidenzia la necessità che gli analisti sviluppino ed usino con intensità crescente modelli predittivi basati su una pluralità di fonti informative, in grado di neutralizzare le eventuali politiche di bilancio poste in essere dalle imprese.
di Marco Maria Mattei, Direttore del Master in Finanza, Controllo e Auditing