Intervista a Paolo Palomba. Managing Partner di Expertise on Field, società di Marketing che agisce in Italia e nel mondo con colleghi esperti nel marketing del largo consumo in 30 paesi, per lo sviluppo di Nuovi Prodotti, Internazionalizzazione, Training e Learning by Doing. Paolo è partner di IPLC – The Retailer Brand Specialists società internazionale che opera a supporto delle imprese agroalimentari per entrare e svilupparsi in nuovi mercati e canali.
In BBS, è Direttore del Private Label Development & Innovation Program, Professore in Retail e Distribuzione Food & Wine nel track Food and Wine del Global MBA; Professore di Economia & Management per il Food&Wine all’interno del Professional Master in Gestione d’Impresa, track Food & Wine.
Parliamo di food marketing: partendo dalla sua profonda conoscenza del settore, quali crede siano le caratteristiche distintive di questa declinazione del marketing?
Il settore food & beverage permette una full immersion eccezionale nel mondo del marketing perché è un contesto molto competitivo, in cui abbiamo tanti brand e canali sia di vendita che distributivi: uno scenario complesso e ricco di opportunità di scelta.
Inoltre, c’è un aspetto molto rilevante da affiancare allo studio del prodotto che è spesso banale, dal prezzo unitario basso e di acquisto ripetuto: quando parliamo di cibo abbiamo a che fare con beni essenziali e che interagiscono moltissimo con la sfera emozionale. Abbiamo a che fare col gusto e l’olfatto, col piacere e con il ricordo. Tutti aspetti che elaborati dal marketing aprono percorsi sfidanti e appassionanti.
Entrano in gioco diverse discipline: trade marketing, retail marketing e digital marketing solo per citarne alcune.
Da un lato il prezzo, dall’altro responsabilità, rispetto verso animali e ambiente. Come far sì che queste due tendenze non generino un conflitto?
È proprio il lavoro del bravo marketing manager: bisogna trovare un punto di equilibrio. C’è un motto che dice “price is what you pay, value is what you get.” Il valore percepito cambia molto in relazione ad attributi anche intangibili, come poter rivendicare una filiera sostenibile e biologica, che diventano fondamentali per il consumatore.
Un esperimento entusiasmante e piuttosto recente è il concetto del dynamic pricing, ovvero del far variare il prezzo dello stesso prodotto nel tempo. L’idea, in realtà, non è nuova, oggi però si lavora anche su altre strategie: ad esempio, variare i prezzi a seconda dell’orario di un esercizio commerciale in funzione del target e della domanda. È un aspetto delicato che, gestito con trasparenza verso l’acquirente, può offrire opportunità. Nella ristorazione, ad esempio, l’offerta di happy hour al bar si sta segmentando anche nel prezzo secondo parametri fino a poco tempo fa non tenuti in considerazione.
Un’altra nuova frontiera affascinante nel mondo del Food & Wine è quella della personalizzazione sempre più praticabile e facilmente fruibile per i clienti grazie alla tecnologia. Ad esempio: un cliente con il proprio smartphone, consentendo di farsi intercettare dentro al supermercato dai sensori interni, può ricevere messaggi e vantaggi personalizzati (sconti, prove prodotto, ecc.) basati sullo storico degli acquisti precedenti (basket analysis). Altro esempio sono le etichette elettroniche interattive con lo smartphone per fornire informazioni ulteriori, ad esempio di abbinamenti o diete, rispetto a quelle presenti sulla confezione. Tutto ciò può premiare il cliente su prodotti che sappiamo già essere preferiti; su quelli che non conosce o non acquista invece possiamo incentivare la prova.
Questa sarà la frontiera affascinante del marketing e d’acquisto e di consumo di cibi e bevande, ancora tutta da esplorare anche con l’avvento dell’intelligenza artificiale per il prossimo decennio.
Come si relaziona il comparto food and wine al retail online?
La quota di vendite del canale online grocery in Italia è ancora limitata al 3% del mercato anche se in costante crescita, rispetto all’15% della Gran Bretagna o all’12% della Francia. Questo è dovuto più che alle abitudini degli acquirenti, soprattutto al ritardo nello sviluppo dell’offerta sia in termini di numero di imprese attive, di servizio e di copertura territoriale. Un vincolo è di tipo strutturale: la popolazione nel nostro Paese è distribuita in tanti centri piccoli e medi e poco concentrata nelle grandi aree urbane in cui questi servizi riescono ad essere efficienti. In Italia la formula click & collect (ordine online e ritoro spesa a punto di vendita) è ancora molto limitata, mentre in Francia è la più elevata: risolve il problema della presenza al domicilio alla consegna, non prevede costi di consegna, e può essere comoda per punti di vendita che sono nell’itinerario casa-lavoro del cliente.
Poi, ci sono altre barriere: costo della consegna, l’esperienza d’acquisto noiosa e molto meno attraente per il cibo rispetto all’esperienza di acquisto fisica.
Oggi i retailers solo online, cosiddetti “pure players”, che non hanno già un punti di vendita fisici – Amazon Fresh è l’unica big del settore in Italia – faticano molto ad affermarsi perché manca una connessione con l’esperienza fisica e con il branding non solo dei prodotti ma anche dell’esperienza di acquisto. Il mercato dell’online in Italia è dominato da operatori che hanno i loro negozi ben radicati. Esselunga è stato il pioniere e ancora oggi è leader del canale avendo raggiunto nel recente passato fino al il 50% delle vendite online. Oggi si affiancano altri grandi come COOP e solo ultimamente Conad. Il mercato è destinato ad espandersi e, forse tra pochi anni, con la realtà virtuale e aumentata riusciremo ad avvicinare l’esperienza d’acquisto online a quella di un giro al centro commerciale anche nel settore del cibo e delle bevande.
Le Categorie del vino hanno hanno un’identità più separata e molto ben caratterizzata. L’online del vino ha una vita molto più feconda, con canali dedicati e specializzati, spesso posizionati su una maggiore specializzazione con prezzo medio-alto e con una finestra importante sull’export.
Qual è, se ce n’è una, la direzione verso cui sta muovendo il marketing nel mondo agroalimentare.
Il brand va oltre il prodotto, crea identità per le aziende e il buon marketing porta ai brand un’identità forte che genera engagement e fidelizzazione.
Dalla pandemia in poi, il concetto di marchio sviluppato a partire dagli anni Cinquanta appare un po’ obsoleto e molto orientato alla dimensione emozionale veicolata con i media tradizionali.
Oggi c’è la tendenza contraria: un posizionamento forse più razionale pensato per consumatori disincantati, capaci di informarsi, ha rilanciato modelli che poco tempo fa parevano “vecchi” ma che sono oggi efficaci, come i discount e le private label che stanno contribuendo a riscrivere i paradigmi della marca nel largo consumo.
La creazione identitaria del brand è legata a un target più sofisticato di consumatori, spesso giovani e gestito al meglio da startup altrettanto giovani che si orientano su un nuovo paradigma in cui i temi della sostenibilità e del benessere personalizzato sono al primo posto.
In aula, nei Master in cui insegno, vediamo questi passaggi direttamente con i manager delle aziende coinvolte nel lavoro di Team Work degli studenti. Si entra nelle dinamiche di analisi-valutazione-presa delle decisioni in forma di role-play in realtà molto vicini alla realtà proposta e vissuta dai manager. Capita che i manager siano talvolta stupiti dalle intuizioni e dalle analisi proposte dai Team Work, perché colgono punti di vista che spesso, nelle dinamiche aziendali, non emergono sufficientemente, o non sono tra le consuete pratiche aziendali o ancora perché si muovono verso direzioni non prese in considerazione. Anche questo è fare buon marketing: inserire modelli di innovazione e lasciarsi infiltrare e contaminare da altre realtà.
Nel comparto food and beverage abbiamo un vantaggio importante: la possibilità di fare profonde analisi del punto vendita o della ristorazione. Oltre ai big data, ampiamente disponibili, il negozio è un libro aperto, un punto esclusivo di osservazione da cui estrapolare, con nu po’ di competenza ed allenamento, una serie di informazioni spesso non leggibili tra le grandi mole di dati e su cui costruire strategie sempre attuali e innovative.
Gli studenti, così, hanno accesso a un sapere molto pratico, che li porta immediatamente in contatto con le aziende e che apre l’accesso al mondo del lavoro.
Quali sono le principali sfide che deve affrontare oggi il manager dell’impresa agroalimentare?
Le sfide affrontate con impegno e la passione generano più spesso gratificazione e soddisfazione. Le filiere agroalimentari sono in grande trasformazione e la sfida principale è quella di gestire il cambiamento e l’innovazione grazie alla collaborazione feconda e permanente tra i professionisti di tutta la filiera. Deve essere come uno stile di lavoro. Che gli attori della filiera siano produttori di materie prime, di packaging, oppure distributori, trasformatori o retailer ricordiamo sempre che tra il gli Obiettivi di Sviluppo Sostenible delle Nazioni l’ultimo, ma non per importanza, forse più “metodoglogico”, è sulla partnership e l’innovazione tra le imprese, quindi tra le persone nella filiera. La sfida più difficile e centrale è quella di realizzare gli obiettivi della propria azienda, contestualmente agli obiettivi degli altri nelle tre dimensioni della sostenibilità economica, ambientale e sociale.
Il problema, nel comparto, non è alla fine del processo: la food waste avviene durante tutta la filiera. Idem per la produzione di CO2.
La Ellen McArthur Foundation, per fare un esempio, ha creato un progetto sulla rigenerazione e circolarità, The Big Food Redesign, basato sull’obiettivo di convertire i modelli di filiera: integrando aziende agricole, produttori e tutti gli attori del comparto si può pensare a un modello più efficiente, circolare.
Oggi abbiamo prodotti, come alcuni biscotti, che vengono dagli scarti di lavorazione di altre produzioni. Sono sicuri, con ottimi valori nutrizionali. Basta aggiungere un po’ di cacao ed ecco un biscotto dal sapore ottimo che è anche un prodotto rigenerato e a bassissimo impatto.
È evidente che, per quanto ogni impresa si forzi al massimo per ridurre emissioni e migliorare la sostenibilità, se rimane isolato ha ben poca efficacia. Qui, più che altrove, l’unione fa la forza.
La GDO influenza moltissimo il settore. Come il marketing si interfaccia a questa evidenza?
Il trade marketing non a caso nelle imprese diventa sempre più importante: se non rompo la barriera dell’accessibilità al prodotto da parte di acquirenti e consumatori, qualunque lavoro diventa inutile.
Abbiamo affollamento di concorrenza, competizione e consumi mediamente stabili e tendenti alla decrescita, anche solo per scarsa natalità: in questo scenario il trade marketing diventa fondamentale.
Inoltre, si affacciano nuove opportunità di marketing prima inesplorate: Tesco in UK ha appena acquistato 60000 schermi da posizionare nei propri negozi. Significa fare pubblicità per i propri prodotti o generare introiti pubblicizzandone altri nel luogo fisico di vendita: i piani si mischiano il marketing manager oggi deve essere pronto ai cambiamenti di scenario e, soprattutto, di approccio. Nuove problematiche significano nuove opportunità.
Per chiudere: oggi molte Business School propongono Master dedicati al mondo food. Perché venire in BBS?
Per Bologna: si vive bene, si mangia bene, si può far festa. Perché non venire un anno a studiare qui mentre si fa esperienza anche professionale?
A parte gli scherzi, che Bologna sia parte della food valley è un tema scontato, meno noto invece è che qui non ci sono solo grandi produzioni agroalimentari note in tutto il mondo (Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, Aceto balsamico di Modena e così via), ma tante eccellenze di industrie minori che sono “side business” del comparto. Packaging e aziende meccaniche italiane e tedesche in un testa a testa continuo, guidano i mercati nel mondo in questi settori.
Poi, Bologna è la città con alcune delle principali sedi nazionali della grande distribuzione e anche di innovative catene della ristorazione: questo è un elemento chiave di conoscenza diretta del mondo che si sviluppa attorno al comparto del Food & Wine.
Ancora, Bologna è sede europea del presidio di raccolta ed elaborazione dei dati sul clima e dello sviluppo dei potenti e sofisticati sistemi di elaborazione e calcolo che hanno un grande impatto sull’evoluzione delle filiere e del marketing del cibo. BBS è all’avanguardia delle iniziative ed innovazioni in queste direzioni applicate anche al Food & Beverage.Infine una miscela di docenti di estrazione accademica e docenti che vengono dal mondo business garantisce un sapere qualificato e concreto, in dialogo con i bisogni del mercato che diventa subito spendibile, una vera porta aperta sul mondo del business.