Definire Riccardo Pirrone non è semplice. Infatti, se da un lato è noto per essere il social media manager di Taffo, l’agenzia funebre più famosa d’Italia, dall’altro è molto più di questo. Autore, collaboratore del Il Sole 24 Ore, ha fondato l’agenzia pubblicitaria KiRweb. Nel 2021 ha lanciato Wonka Talent, una talent factory nel segno dell’inclusività dedicata ai progetti di influencer marketing. Il suo modo di fare comunicazione, sui social e non solo, ha riscritto le regole del settore, non a caso a chi vuole imparare il suo lavoro insegna “come non diventare dei banali social media manager”. E di certo la banalità non è nelle corde di Riccardo Pirrone, da nessun punto di vista.
In occasione della sua partecipazione agli MGIncontri, la curiosità da parte degli studenti del Master in Gestione d’Impresa era altissima e Pirrone non ha deluso le aspettative, offrendo ai partecipanti un insight prezioso sulle dinamiche della comunicazione contemporanea. Lo abbiamo incontrato subito dopo l’evento per rivolgergli tre domande proprio su questo argomento.
Com’è cambiato il mondo dei social negli ultimi tre anni e quanto ha influito la pandemia?
Il cambiamento c’è stato nella crescita e nell’utilizzo di alcuni social e nella decrescita di altri. Se escludiamo BeReal, infatti, che è ancora poco usato, negli ultimi tre anni non ci sono stati lanci di nuovi social media particolarmente significativi. Durante la pandemia i social sono diventati uno strumento di comunicazione equiparabile ai mass media: non che prima non lo fossero, anzi, ma finalmente le persone hanno iniziato a percepirli come tali. A favorire questa percezione dei social come mezzi di comunicazione di massa è stato soprattutto l’utilizzo che ne hanno fatto le istituzioni, spinte dalla necessità di comunicare spesso e rapidamente con il numero più alto possibile di cittadini. Per la prima volta abbiamo visto figure istituzionali, come l’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, diventare le più presenti in assoluto su questi canali. Alla necessità di informazione tempestiva e costante si è aggiunto il bisogno di passare il tempo durante i periodi di lockdown e di alimentare le interazioni sociali a distanza. Tutti fattori che hanno contribuito a migliorare la competenza e la comprensione dei social media da parte delle persone. Oggi lo vediamo anche a livello di business: le aziende hanno deciso di impegnarsi sempre di più per incrementare la propria presenza online, sia sui nuovi social come TikTok, che non è più appannaggio esclusivo dei giovanissimi, sia su quelli più consolidati come Instagram e Linkedin, che sta avendo una vera e propria rinascita.
Possiamo dire che tu abbia creato uno stile, un modo ironico e divertente di fare instant marketing che ha fatto scuola. Al tempo stesso, affrontando tematiche attuali e spesso dibattute e scegliendo di schierarsi in favore di alcune cause come fa Taffo, ci si espone anche alle critiche. Come si trova un equilibrio?
Non cercandolo! Ci sono modi diversi di fare real time marketing, ma non tutti i brand dei quali mi occupo comunicano come Taffo e scelgono di schierarsi trattando temi di rilevanza sociale o etica, anche se è vero che la tendenza è quella di interessarsi ai temi del proprio target. Taffo lo fa in modo diretto, palese, tanto da essere diventato una case history mondiale, non esistendo un’agenzia funebre nel mondo che faccia questo tipo di operazione, ma è una pratica che è possibile fare in modi diversi e con diversi brand. Il punto è esprimere i propri valori, ciò in cui la marca crede, le battaglie rispetto alle quali è disposta a schierarsi: con il real time marketing ci si espone mostrando il proprio punto di vista, questo comporta naturalmente che chi non la pensa come noi smetterà di seguirci, ma chi invece è coinvolto nelle stesse battaglie diventerà un follower di quel brand, anzi, un amico. Ed è così che deve essere: se cerchiamo di restare in equilibrio tra chi la pensa come noi e chi non la pensa come noi, puntando ad accontentare tutti, non stiamo davvero sposando nessuna causa. Bisogna sbilanciarsi e credere in quello che si dice e che si fa, anche in modo molto concreto. E questo è un punto importante: un brand che sposa una causa non può farlo solo a parole o sulla carta, deve agire in maniera concreta per essere credibile.
Sei stato invitato agli MGIncontri di Bologna Business School, una serie di conferenze dedicate al Professional Master in Gestione d’Impresa. Hai avuto dunque l’occasione di parlare alla fascia più giovane degli studenti e delle studentesse della Scuola. C’è un consiglio in particolare che hai voluto dare loro?
Durante l’incontro non ho voluto dare veri e propri consigli, ma sul finale ho dato loro delle suggestioni. Ho detto loro di studiare per conoscere il mondo in cui andranno a lavorare. Non basta conoscere la tecnica dei social media, padroneggiando al meglio gli strumenti, bisogna conoscere a fondo il mondo del marketing e della comunicazione in cui questi si inseriscono. Così come è necessario conoscere le dinamiche aziendali all’interno delle quali si andrà a instaurare la nostra attività social. E poi bisogna conoscere se stessi, essere consapevoli dei nostri limiti, degli stereotipi che ci condizionano, dei problemi che abbiamo, anche attraverso la psicoterapia. Questo per poter essere liberi, scevri da ogni paura e quindi comunicare meglio.