State per prenotare la vostra prossima vacanza e siete ben contenti di mettervi in contatto con chi vi garantirà un soggiorno piacevole. Digitate il numero dell’hotel e, invece di una voce umana, vi risponde un assistente digitale. È efficiente, rapido, disponibile 24/7 e pronto a far fronte a ogni vostra esigenza. Eppure, manca qualcosa. Calore umano, connessione emotiva, empatia, la sensazione che ci sia un sorriso sincero dietro una voce efficiente: quel qualcosa che vi fa sentire davvero accolti e speciali.
Benvenuti nel nuovo mondo dei servizi, dove l’intelligenza artificiale sta ridisegnando le regole dell’interazione. In prima linea, il settore turistico, dove McKinsey stima che i chatbot gestiranno il 95% delle interazioni coi clienti per il 2025.
In questo contesto in rapida evoluzione, il professor Daniele Scarpi de Claricini dell’Università di Bologna ha intrapreso un’indagine dal titolo Strangers or friends, examining chatbot adoption in tourism through psychological ownership, pubblicata su Tourism Management. L’articolo getta luce su un aspetto spesso trascurato della rivoluzione digitale: l’impatto psicologico dei chatbot sulle relazioni con i clienti. Mentre la maggior parte della letteratura si concentra sui vantaggi dell’adozione dell’IA, l’autore si è avventurato nel territorio meno esplorato del “lato oscuro” di queste tecnologie. La ricerca rivela che sostituire l’elemento umano con un chatbot può avere conseguenze inaspettate e potenzialmente negative.
Il cuore dello studio è il concetto di “proprietà psicologica” – quel senso di appartenenza e connessione che proviamo verso qualcosa, indipendentemente dalla proprietà legale. L’autore ha scoperto che l’interazione con un chatbot, per quanto pratica, rapida e indubbiamente utile ed efficiente, può erodere questo sentimento.
La ricerca ha coinvolto 200 potenziali turisti, divisi a caso in due gruppi: tutti hanno interagito con umani su una piattaforma digitale testuale one-to-one, ma metà di loro credeva di stare interagendo con assistenti digitali. Chi credeva di interagire con un chatbot ha riportato livelli significativamente più bassi di proprietà psicologica in tutte le sue componenti: autoefficacia, responsabilità, senso di appartenenza e identità personale.
Ma perché questo è importante? Perché la proprietà psicologica è il collante invisibile che ci lega a un’esperienza, a un luogo, a un brand. È ciò che ci fa sentire “a casa” in un hotel, che ci spinge a tornare, a raccomandarlo agli amici. Ma lo stesso discorso si può applicare anche a una brand community, un punto vendita, uno studio medico, etc. Quando questo legame si indebolisce, l’intera relazione cliente-azienda ne risente.
Lo studio ha infatti rivelato che la diminuzione della proprietà psicologica porta a un minor impegno nella relazione e, di conseguenza, a una minore intenzione di prenotare nuovamente. In altre parole, i chatbot, pur se efficienti, potrebbero involontariamente allontanare i clienti, svuotando la relazione, per il semplice fatto di essere bot invece che umani.
Questi risultati lanciano una sfida non da poco all’interazione coi clienti. Come bilanciare l’efficienza che le persone attribuiscono all’IA con il bisogno umano di connessione che le persone (a torto o a ragione) non ritengono l’IA sia attualmente in grado di replicare?
Lo studio suggerisce alcune strategie per mitigare questi effetti negativi. Ad esempio, i chatbot potrebbero essere progettati per rafforzare il senso di autoefficacia dei clienti, fornendo istruzioni chiare e tutorial interattivi. Potrebbero incoraggiare la responsabilità, chiedendo conferme e impostando obiettivi. Il senso di appartenenza potrebbe essere coltivato attraverso saluti personalizzati e l’accesso a offerte esclusive.
Ma la sfida più grande rimane: come replicare quel “tocco umano” che fa sentire un cliente veramente speciale? Mentre l’industria turistica naviga come pioniere in queste acque inesplorate, una cosa è chiara: l’equilibrio tra efficienza tecnologica e connessione umana sarà importante per il successo in molti altri servizi nel futuro.
Questo studio apre la strada a nuove riflessioni sull’impatto dell’IA. Ci ricorda che, nell’era della digitalizzazione, non dobbiamo perdere di vista ciò che rende davvero speciale l’esperienza del consumatore: la connessione umana, il senso di appartenenza, l’essere riconosciuti come individui unici. Mentre i chatbot continueranno a evolvere, forse la vera sfida sarà trovare l’equilibrio tra l’efficienza dell’intelligenza artificiale e il calore dell’intelligenza emotiva. Solo così potremo garantire che i clienti si sentano non solo serviti, ma veramente accolti.