Le plastiche bio-based e biodegradabili (BBPs) rappresentano, in specifiche applicazioni, una promettente alternativa alle plastiche convenzionali derivate dal petrolio. Ne è esemplare l’applicazione in agricoltura per i teli da pacciamatura, ossia quei teli usati per proteggere le radici delle colture da sbalzi termici ed erbe infestanti. In questo caso, un compound con caratteristiche di biodegradabilità in suolo potrebbe abbattere i costi di rimozione e smaltimento del telo convenzionale, limitare la formazione di microplastiche e la rimozione di suolo che generalmente avvengono quando si procede a togliere il telo dopo il ciclo di coltivazione, nonché contenere episodi di bruciature. Altro caso è quello delle cosiddette applicazioni per imballaggio single-use, tra cui bustine da tè e carrier bag, dove le caratteristiche di compostabilità su scala industriale potrebbero alleggerire la pressione sugli impianti di riciclo meccanico.
Tuttavia, il loro reale impatto ambientale e sociale e la loro integrazione in una bioeconomia circolare sostenibile sono ancora oggetto di dibattito. Il recente studio dal titolo “Linking bioeconomy, circular economy, and sustainability: Trends, gaps and future orientation in the bio-based and biodegradable plastics industry” (Eleonora Foschi, Selena Aureli e Angelo Paletta – Università di Bologna) esplora tendenze, lacune e prospettive future nell’industria europea delle BBPs, fornendo nuove indicazioni per accelerare la transizione verso una bioeconomia circolare sostenibile.
Secondo lo studio, il settore delle plastiche bio-based è in rapida espansione, con una produzione globale destinata a crescere da 2,12 milioni di tonnellate nel 2022 a circa 6,3 milioni di tonnellate entro il 2027. Questi materiali, prodotti in tutto o in parte da biomassa (ad esempio, acido polilattico – PLA, poliidrossialcanoati – PHA), sono sostenuti dall’urgenza di ridurre la dipendenza dalle fonti fossili e, quindi, le emissioni di gas serra generate dall’industria petrolchimica. Tuttavia, la pressione sulle plastiche derivanti dalle isole di plastica e le evidenze degli impatti delle microplastiche su organismi animali e umani, ha mostrato una tendenza del mercato alla one-to-one substituion, con uso di tali materiali anche in applicazioni dove il valore aggiunto della biodegradabilità e/o compostabilità non veniva adeguatamente percepito o valorizzato.
Nonostante i benefici ambientali potenziali, l’impatto delle BBPs non è ancora pienamente dimostrato. Ciò è anche causato, come evidenziato dallo studio, dall’assenza di strumenti e metriche standardizzate per valutare la circolarità e sostenibilità delle BBPs. Le analisi del ciclo di vita (LCA), per quanto accurate, non riescono a tenere conto della variabilità dei sistemi al contorno. Ad esempio, per le diverse condizioni di temperatura e umidità, nonché caratteristiche del suolo, un telo usato in Nord Europa sarà soggetto a un processo di degradazione più lento rispetto al Sud Europa. Risulta, inoltre, difficile dare enfasi ai benefici poiché monitorare l’ecotossicità è ancora estremamente complicato.
Un altro punto critico riguarda la gestione del fine vita di queste plastiche. Anche se si parla di biodegradazione è necessario un chiaro riferimento all’ambiente in cui questo processo avviene (ambiente aperto, quindi suolo o mare/fiume/lago oppure ambiente chiuso e controllato come possono essere gli impianti di biodegradazione anaerobica e/o compostaggio industriale). Inoltre, il problema si accentua quando parliamo di plastiche compostabili ampiamente utilizzate negli imballaggi ad uso alimentare. Ad oggi non esiste una gestione armonizzata dell’imballaggio compostabile in Europa: mentre in Italia tali imballi andrebbero smaltiti con i rifiuti organici e valorizzati negli impianti di compostaggio industriale, in Svezia vengono smaltiti insieme ai rifiuti misti e termovalorizzati. Tale diversificazione non aiuta i cittadini, che hanno difficoltà a riconoscere il materiale (le bioplastiche possono essere sia biodegradabili/compostabili sia non biodegradabili, come il bio-PET – bio-polietilene tereftalato) e associare la corretta procedura di smaltimento. Tutto ciò ostacola la capacità delle BBPs di chiudere il ciclo dei materiali e contribuire pienamente alla rigenerazione delle risorse.
Lo studio propone diverse raccomandazioni per superare queste barriere, tra cui lo sviluppo di supply chain locali e integrate, in grado di valorizzare gli scarti/i residui produttivi del territorio e ridurre i costi di produzione e trasporto. Inoltre, in linea con il principio di pensiero sistemico e approccio al ciclo di vita, gli autori suggeriscono l’implementazione di linee guida per il design for biodegradability and/or compostability. Tali linee guida dovrebbero prevedere la progettazione di applicazioni che tengano conto delle proprietà di rinnovabilità, biodegradabilità, compostabilità dei materiali, così come dei tempi di degradazione, che devono essere adeguati all’uso finale, nonché del sistema ricevente, che deve poter correttamente valorizzare il materiale al fine vita.
Un altro punto chiave emerso dallo studio riguarda la necessità di aggiornare gli standard in materia di compostabilità e biodegradabilità, al fine di garantire robustezza per le prove in-situ ma anche una coerenza tra le diverse realtà geografiche. Fondamentale sarà anche il ruolo della collaborazione tra tutti gli attori della filiera produttiva, dai fornitori di materiali agli utenti finali, per ottimizzare la gestione e il riciclo delle BBPs.
In conclusione, mentre le BBPs offrono un potenziale significativo in termini di sostenibilità rispetto alle plastiche tradizionali, il loro contributo reale a un’economia circolare sostenibile è ancora in via di definizione. Lo studio di Foschi, Aureli e Paletta offre un contributo prezioso al dibattito, evidenziando la necessità di un approccio sistemico e multidimensionale per affrontare le sfide di questo settore emergente.
Per approfondire il tema, è possibile consultare l’articolo completo, “Linking bioeconomy, circular economy, and sustainability: Trends, gaps and future orientation in the bio-based and biodegradable plastics industry”, pubblicato su European Journal of Social Impact and Circular Economy.
A supporto, sono inoltre stati pubblicati due white paper per il settore dei giocattoli https://cris.unibo.it/handle/11585/939607 e dell’agricoltura https://cris.unibo.it/handle/11585/954406.