Nel mondo accademico, l’eccellenza dovrebbe sempre essere premiata. Ma cosa succede quando il candidato più qualificato non segue i confini rigidi di una singola disciplina? Può davvero essere penalizzato perché è “troppo multidisciplinare”?
È proprio su questo paradosso che si basa la ricerca recentemente pubblicata su Organization Science, dal titolo A New Take on the Categorical Imperative: Gatekeeping, Boundary Maintenance, and Evaluation Penalties in Science (Riccardo Fini, Julien Jourdan, Markus Perkmann, Laura Toschi).
Negli ultimi anni, la multidisciplinarietà è diventata cruciale per affrontare le sfide complesse della società: dal cambiamento climatico alla pandemia, i problemi odierni richiedono competenze che coinvolgono diverse aree del sapere umano. Tuttavia, i ricercatori che operano su più fronti disciplinari spesso affrontano barriere invisibili, ma potenti: le valutazioni professionali.
La teoria dominante suggerisce che i candidati con un’identità accademica “non focalizzata” – cioè coloro che pubblicano lavori in diverse discipline – siano penalizzati perché gli esaminatori li considerano meno competenti o difficili da valutare. Questo studio propone invece una nuova spiegazione: la necessità di mantenere i confini disciplinari da parte di chi è preposto alle valutazioni. Gli esaminatori, infatti, non sono solo giudici delle competenze, ma si dimostrano veri e propri “guardiani” dei confini sociali delle discipline accademiche.
La ricerca ha analizzato i dati di oltre 55.000 candidature concentrandosi sul processo di abilitazione scientifica nazionale italiana, che permette agli studiosi di essere nominati professori associati o ordinari. La scoperta? I candidati multidisciplinari, in particolare quelli con un’eccellente carriera accademica, subiscono una penalizzazione maggiore rispetto a coloro che seguono percorsi più tradizionali.
Perché accade questo? I candidati multidisciplinari, soprattutto quelli di alto profilo, vengono percepiti come una minaccia all’identità della disciplina stessa. Gli esaminatori temono che, una volta ammessi, questi “outsider” potrebbero cambiare la direzione della disciplina, introducendo nuove idee o approcci che destabilizzerebbero il suo nucleo distintivo. Di conseguenza, anche i candidati con pubblicazioni di altissima qualità vengono a volte esclusi se non rientrano perfettamente nei canoni disciplinari.
Si è poi scoperto che la penalizzazione è particolarmente forte in discipline circoscritte e altamente distintive, che sono quelle in cui gli esaminatori si sentono ancora più legati a una rigida definizione del loro campo. Al contrario, discipline più ampie o meno specifiche tendono a essere più aperte verso candidati che attraversano i confini disciplinari.
Questa tendenza potrebbe avere implicazioni importanti: limitare l’accesso di ricercatori multidisciplinari potrebbe rallentare l’innovazione e il progresso scientifico. Pensiamo a campi come la biologia computazionale o la scienza dei dati, che nascono proprio dall’incontro di diverse discipline. Se i ricercatori che operano in queste aree vengono penalizzati, si rischia di bloccare lo sviluppo di nuovi approcci e la valorizzazione di nuove soluzioni.
Ecco, allora, che se da un lato è necessario preservare l’integrità e l’identità delle discipline, dall’altro occorre trovare un modo per dare spazio a chi si fa portavoce di nuove prospettive: i processi di accreditamento dovrebbero essere riformati per bilanciare il mantenimento dei confini disciplinari con la necessità di innovazione.
Promuovere la diversità nei comitati di valutazione, includendo esaminatori con profili meno tipici o provenienti da discipline diverse, potrebbe essere una soluzione. Inoltre, stabilire criteri di valutazione che tengano conto del valore delle ricerche multidisciplinari, al di là delle rigide categorizzazioni, permetterebbe di premiare non solo la competenza, ma anche la capacità di innovare. La scienza progredisce abbattendo confini, non erigendoli. In un mondo che ha bisogno di soluzioni innovative, l’accademia deve trovare nuovi modi per premiare chi sfida i confini del sapere, e non chiudere loro la porta.