Un esercito di invisibili. Sono le donne ad alta qualificazione professionale che arrivano in Italia come immigrate e incontrano una serie di barriere a un ingresso nel mondo del lavoro che sia all’altezza della loro preparazione.
Quali sono queste barriere e quali sono gli interventi e le risorse necessari a rimuoverle, agendo su vari livelli? Un lavoro svolto da tre studiose dell’Università di Bologna si concentra in particolare sulle donne migranti con un background nelle discipline cosiddette STEMM (dalla sigla inglese per scienza, tecnologia, ingegneria, matematica e medicina). Curiosamente sono tutte aree in cui queste donne subiscono vari tipi di discriminazione, nonostante siano proprio quelle nelle quali è crescente il numero di offerte di lavoro che restano scoperte. Il risultato è un “triplo danno” causato da questo spreco di cervelli: un danno per le donne stesse, per il mercato del lavoro del Paese che le ospita e per le opportunità di sviluppo del Paese d’origine. Sono perdite non da poco, considerato che le donne rappresentano fra il 10 e il 30% dei migranti altamente qualificati in professioni difficili in diversi Paesi europei. Secondo Eurostat, in Europa più del 30% delle donne fra i 25 e i 54 anni nate all’estero e che dispongono di un’educazione terziaria sono over-qualified, lavorano insomma in posti che richiedono solo un basso o medio livello di capacità.
L’immigrazione è uno dei temi politici più scottanti in Europa, come in Italia. Nella discussione pubblica, il rigetto dei migranti, e in particolare dei migranti economici, che non meriterebbero accoglienza, è nettamente prevalente rispetto alla “corsa per i talenti” in cui i Paesi cercano di accaparrarsi le risorse migliori per rendere più competitiva la propria economia. Questo è ancor più vero per le donne, persino quelle a più alta qualificazione, come quelle delle discipline STEMM. La difficoltà di ottenere dati sufficientemente affidabili ha portato le studiose dell’Università di Bologna a condurre un lavoro sul campo raccogliendo informazioni attraverso interviste e focus group in Emilia-Romagna, coinvolgendo donne provenienti da Paesi diversi e di formazione diversa e concentrandosi su due poli, come Bologna e Parma, che sono rappresentativi dell’attrazione verso un certo tipo di immigrazione qualificata.
La ricerca ha trovato così che le barriere all’entrata sul mercato del lavoro STEMM per le donne migranti sono a diversi livelli e spesso interagiscono fra loro. Il contesto è fatto di ostacoli rappresentati da limitazioni burocratiche, la possibilità di ottenere il riconoscimento delle proprie qualificazioni (compreso quello di titoli di studio ottenuti all’estero: non c’è neppure una voce ad hoc nei formulari del ministero del Lavoro per i centri per l’impiego), oltre a una congiuntura economica sfavorevole e l’interazione di discriminazioni sul genere, l’età, l’origine etnica. Ci sono poi barriere di tipo organizzativo, riguardanti la capacità dei datori di lavoro di valutare e selezionare potenziali candidati di origine straniera. Infine, agiscono barriere di tipo individuale, che possono essere legate all’esperienza vissuta con l’emigrazione.
La principale peculiarità che riguarda le donne migranti nelle aree STEMM, secondo lo studio, è che il loro status all’immigrazione è cruciale nel determinare il risultato dell’inserimento nel mondo del lavoro. La modalità di entrata nel Paese ha un ruolo centrale nell’incorporazione nel mercato del lavoro e nella capacità di far parte di network che la favoriscano.
Diversi misure sono possibili a diversi livelli. Per quanto riguarda il contesto alcune barriere sono più difficili da rimuovere, almeno nel breve periodo (discriminazione razziale o etnica, mancanza di opportunità di lavoro qualificate), ma altre potrebbero essere affrontate dalle autorità, per esempio facilitando il riconoscimento delle qualificazioni, tenendo conto sia delle hard, sia delle soft skills. Il sistema per ora non identifica le donne migranti come potenziali candidati a professioni che non siano quelle “classiche” di cura della persona.
A livello delle singole organizzazioni, è notevole che in Italia, nonostante la crescente carenza di figure professionali di alta qualificazione nelle discipline STEMM, molte imprese private continuino a essere restie a esplorare il potenziale di migranti altamente qualificati nel contribuire all’innovazione e alle strategie di internazionalizzazione. Lo studio suggerisce misure che mirino a supportare i processi di selezione, reclutamento e mantenimento dei talenti, per esempio sostenendo servizi di intermediazione o formando consulenti del lavoro.
A livello individuale, per migliorare la capacità di adattamento e il capitale psicologico (anche se, per esempio, quello dell’equilibrio lavoro/vita privata è un problema riconosciuto dalle autorità e che non è specifico delle donne immigrate), c’è spazio per interventi di supporto psicologico e network locali, con la partecipazione di istituzioni pubbliche e private, per creare una connessione fra lavoro, welfare e formazione e rendere le donne immigrate qualificate più “visibili” sul mercato del lavoro.
Con interventi su tutti questi fronti, sottolineando l’intersezione dei tre aspetti, di essere una donna, migrante e una professionista delle aree STEMM, c’è la possibilità di minimizzare il “triplo danno” e anzi valorizzare l’immigrazione a sostegno dell’innovazione e di buoni risultati per il mercato del lavoro. In Italia, come in Europa.