E se salvare il pianeta fosse una questione di stile?
Mentre il mondo cerca soluzioni per il cambiamento climatico, un gruppo di innovatori italiani ha trovato la risposta in un luogo sorprendente: il nostro guardaroba. La moda, spesso criticata come uno dei principali responsabili dell’inquinamento globale, sta per ribaltare questa percezione. E lo sta facendo con stile, creatività e quel tocco inconfondibile di “amore” tutto italiano.
L’industria della moda vive da sempre un paradosso: ha una natura spesso percepita come effimera, ma in realtà rappresenta un business globale considerevole per dimensioni e valore. Si tratta, infatti, di un gigante economico che rappresenta il 2% del PIL mondiale. Purtroppo, però, è anche un peso per l’ambiente, responsabile del 4% delle emissioni globali di gas serra.
Ma cosa succederebbe se questo apparente “cattivo” si trasformasse nel protagonista di una storia in cui contribuisce alla salvezza del nostro pianeta?
Un recente studio dal titolo “Tackling Climate Change with End-of-Life Circular Fashion Practices—Remade in Italy with Amore”, pubblicato sull’autorevole British Journal of Management, ha acceso i riflettori su un gruppo di aziende italiane che stanno facendo esattamente questo. Mariachiara Colucci dell’Università di Bologna e Alessandra Vecchi dell’Università di Ferrara hanno esplorato come queste imprese born-circular stiano trasformando il concetto di “fine vita” del prodotto in un nuovo inizio.
Due pratiche circolari, finora rimaste dietro le quinte, potrebbero in un futuro non troppo lontano rubare la scena, in quanto considerate le più promettenti per ottenere i maggiori benefici ambientali. Sono l’upcycling, che trasforma vecchi capi in pezzi unici di alta moda, e la rigenerazione (o remanufacturing), che dà nuova vita ai prodotti, rendendoli anche migliori dei capi nuovi.
Lo studio ha identificato un processo in sei fasi per rendere questa trasformazione una buona pratica da diffondere nel settore a livello globale:
- Valutare e superare i molteplici ostacoli all’implementazione delle pratiche circolari, come vincoli produttivi, difficoltà tecniche e sostenibilità economico-finanziaria.
- Sviluppare strategie di marketing per promuovere la circolarità, migliorando l’accessibilità dei prodotti circolari e comunicandone efficacemente il valore.
- Colmare il divario culturale educando i consumatori, chiarendo la confusione semantica e promuovendo una nuova mentalità imprenditoriale orientata alla trasparenza.
- Implementare pratiche di upcycling e remanufacturing, valorizzando l’artigianalità e la longevità dei prodotti.
- Adottare altre pratiche circolari di fine vita, come il riciclo delle fibre e il riutilizzo, affrontando le sfide che ne conseguono.
- Contribuire concretamente alla lotta al cambiamento climatico attraverso l’adozione di un adeguato approccio normativo, sfruttando la consapevolezza post-pandemia, e implementando pratiche complementari per ridurre l’impronta di carbonio.
Ogni tappa di questo cammino è un’avventura piena di sfide da superare e apparenti contraddizioni da risolvere, in cui il marketing emerge come regista, con il compito di rendere i prodotti circolari alla portata di tutti, usare l’immagine e la comunicazione per sostenere le nuove pratiche, trasformare i negozi in ambasciatori della circolarità ed educare i consumatori a una nuova visione della moda.
Uno degli aspetti più rilevanti emersi dallo studio è la necessità di colmare il divario culturale presente sia all’interno del settore della moda (tra produttori, designer e brand) sia nel mercato (tra i consumatori). Questo implica un duplice impegno: da un lato, educare i consumatori sulle pratiche circolari e il loro impatto; dall’altro, standardizzare i concetti e le pratiche legate all’economia circolare all’interno dell’industria stessa. La trasparenza lungo tutta la filiera produttiva si è rivelata essere l’elemento chiave per raggiungere questo obiettivo, costruendo fiducia e credibilità sia tra gli operatori del settore sia nei confronti dei consumatori.
Le aziende born-circular italiane, tipicamente di piccole dimensioni, stanno dimostrando che è possibile unire approccio tradizionale e pensiero innovativo, creatività e sostenibilità, tanto da fornire un esempio emblematico di quelle che in letteratura si chiamano “utopie reali”. Le imprese nel campione dello studio stanno infatti, artigianalmente, implementando l’upcycling e il remanufacturing, tutto ciò che possa aumentare la longevità del prodotto, così come altre pratiche di fine vita, quali prevalentemente il recycling e il reuse. Ma la vera sfida ora è portare questa rivoluzione su larga scala. Come possono le medie e grandi case di moda adottare queste pratiche? Come può l’industria bilanciare la produzione di massa con la cura artigianale richiesto ad esempio dall’upcycling o con la difficoltà nel pianificare il tipo di prodotto da rigenerare?
Nel finale, lo studio ci ricorda che la vera chiave per affrontare il cambiamento climatico attraverso la moda circolare potrebbe essere proprio quell’amore menzionato nel titolo. L’amore per la creatività, per l’artigianato, e soprattutto, per il nostro pianeta.
La moda italiana, con la sua ineguagliabile tradizione di stile e al contempo con una spinta verso la continua innovazione, potrebbe essere la protagonista perfetta per guidare questa rivoluzione sostenibile.
Mentre si chiude il sipario su questo studio, da leggere e approfondire nella sua versione originale e completa, una cosa è chiara: il futuro della moda non è solo verde, ma circolare, creativo e, soprattutto, “Remade in Italy with Amore”.