La sharing economy, nata come risposta alla crisi profonda che ha colpito l’economia globale nel 2008, è oggi il simbolo e il fulcro di una rivoluzione dei consumi che parte dai millennials, ambasciatori di uno stile di vita basato sull’esperienza e non più sul possesso. Da Uber a Airbnb, il mondo dei beni e servizi condivisi ha visto nascere negli ultimi 5 anni ben 195 nuove realtà imprenditoriali, capaci non solo di rispondere in modo innovativo ai mutati bisogni della società, ma di influenzarne profondamente le abitudini.
Tra i fenomeni del momento, spopolano le biciclette free-flow che combinano le ultimissime tecnologie dell’Internet of Things a business model innovativi. Un nuovo modo di intendere il trasporto urbano dai risvolti sorprendenti, dove nulla, dall’impatto sull’ambiente alle modalità di finanziamento, è come appare.
“Usalo solo se e quando ne hai bisogno”, sembra essere lo slogan delle nuove generazioni fortemente influenzata dal digitale, ma anche dal precariato e dalle limitate possibilità di spesa. Gli oggetti, pertanto, diventano solo il tramite fisico per accedere al vero bene desiderato, l’esperienza.
L’economia della condivisione, resa famosa dal successo di realtà come Uber, Airbnb, BlaBlaCar o Foodora, è un termine che si declina in varie modalità di erogazione: gig economy, servizi on demand, peer to peer economy, pooling economy, ecc. Tutte con un unico fine, quello di permettere al maggior numero di persone possibile l’utilizzo di un bene o un servizio, abbattendone al minimo i costi.
Il 40% delle startup nate dal modello di condivisione, opera nell’ambito dei beni materiali, con i veicoli, gli oggetti e gli spazi che costituiscono il 95% dell’offerta. Tra gli asset intangibili spiccano invece le competenze on-demand al 39%, le consegne al 24% e il trasporto al 13%. Nonostante gli obiettivi e la direzione sembrino ormai chiari e consolidati, la sharing economy è in piena evoluzione e apre inimmaginati scenari di business anche per le aziende più affermate della ‘vecchia’ economia. A marzo del 2018, ad esempio, Eni ha lanciato Enjoy Cargo, il primo servizio in sharing per il trasporto di beni in modalità free floating, mettendo a disposizione i primi cinquanta furgoncini a Torino, Roma e Milano.
Secondo Rachel Botsman, guru dell’economia collaborativa e autrice del libro ‘What’s mine is yours, the rise of collaborative economy’, la rivoluzione riguarda soprattutto i rapporti tra le persone e un elemento fondamentale delle loro relazioni: la fiducia. Un tempo quest’ultima riguardava la sicurezza personale nell’approccio con gli estranei mentre oggi, con i vari sistemi di feedback e rating, viaggia su binari completamente diversi. Se lasciare in disordine una stanza d’albergo, ad esempio, non ci metterebbe più di tanto a disagio, diventa invece di primaria importanza essere percepiti come buoni ospiti quando soggiorniamo con Airbnb, per mantenere alto il voto complessivo del nostro profilo. “La fiducia online cambierà i nostri comportamenti nel mondo reale, ci renderà più responsabili in modi che non possiamo nemmeno immaginare,” afferma ancora la Botsman.
Fenomeno antico, quello della condivisione, che nell’era digitale pone un nuovo problema di regole e responsabilità. Come evidenziato dal caso Uber e dalla rivolta dei tassisti, i nuovi business model rendono necessario un tempestivo adeguamento delle leggi. Indubbiamente, la sharing economy offre maggiori opportunità a chi sta ai margini del mondo del lavoro, ma allo stesso tempo rischia di creare una zona grigia per la tassazione, le tutele dei lavoratori e la trasparenza sulla gestione dei dati e della privacy degli utenti.
Sono arancioni e da poco più di un mese hanno invaso le strade di Bologna. Dopo Firenze, Milano, Torino, Bergamo, Pesaro, Mantova e Reggio Emilia, le biciclette condivise di Mobike, società cinese operante in ben 160 città, hanno raccolto anche i favori del capoluogo emiliano. Nei primi dieci giorni dal loro debutto sono stati percorsi 80.000 chilometri ed effettuati 38.500 spostamenti.
Il bike sharing, a ben vedere, non è di per sé una novità. Era il 1965 quando Luud Schimmepennik, esponente del gruppo anarchico olandese dei Provo, ebbe un’idea rivoluzionaria: combattere il consumismo e difendere l’ambiente con migliaia di bici gratis per tutti. Negli anni ’90 sono poi nati i primi noleggi cittadini che hanno vissuto fortune alterne, per poi approdare oggi alle 18 milioni di bici condivise in 1.608 città.
La spinta verso il successo arriva anche in questo caso dall’innovazione tecnologica che, unita alla capacità di manager e imprenditori di intercettare le potenzialità dell’Internet of Things, ha eliminato gli svantaggi più evidenti del vecchio servizio di noleggio. Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale sulla Sharing Mobility, a fine 2017 il mercato mondiale valeva già 1,5 miliardi di dollari, e nel 2019 raggiungerà i 3,5 miliardi. Il mercato più grande è quello Cinese, mentre l’Italia è al 4° posto mondiale.
La rivoluzione portata da Mobike e Ofo, altro gigante del settore con 100 milioni di utenti in 170 città e 9 paesi, è il ‘free floating’ unito allo smart lock. Le biciclette, munite di geolocalizzatore e lucchetti intelligenti, vengono sbloccate con un’app e possono essere lasciate in qualsiasi punto nell’area definita dall’operatore. La capillarità del servizio raggiunge anche le periferie mentre il pagamento non necessità più di tessere e abbonamenti, ma viene addebitato in base agli effettivi consumi. Mobike e Ofo hanno potuto rispondere alla necessità di una fruizione più snella e veloce grazie alle soluzioni NB-IoT (narrowband Internet of Things), le quali assicurano una forte copertura anche in aree con segnale debole. La durata del pagamento è scesa da 25 a 5 secondi e il GPS ha eliminando i costi di installazione delle rastrelliere. La tecnologia ha inoltre ottimizzato il ciclo di vita della batteria, estesa da 2 mesi a 2 anni, e dei lucchetti intelligenti che raccolgono informazioni sullo stato della bici, riducendo ulteriormente i costi di manutenzione. Tutto ciò è stato possibile grazie alla collaborazione con China Telecom e Huaweii per Ofo e alla partnership con Ericsonn e China Mobile Group Shanghai nel caso di Mobike.
Sebbene il bike sharing venga naturalmente associato alla sostenibilità e alla protezione dell’ambiente, gli studi dimostrano che è uno strumento poco efficace nel ridurre lo smog e il traffico in città. Raramente le bici condivise sostituiscono le auto, poiché si usano per lo più al posto dei trasporti pubblici e dei tragitti a piedi. Al contrario, venendo meno la necessità di riportare le bici alle apposite rastrelliere, sia in Cina che in Europa sono state rinvenute montagne di bici abbandonate o vandalizzate. Inoltre, i furgoni attivi di notte per redistribuire i mezzi aggiungono smog all’aria già inquinata delle città.
Fallita la motivazione ecologista, e considerando che senza finanziamenti pubblici o privati il servizio non è economicamente sostenibile, viene da chiedersi qual è il motivo che spinge i Comuni, ma anche i colossi del mercato globale, a investire nel bike sharing. La risposta, come sempre più spesso accade nell’economia 4.0, è da ricercare nei dati.
Le bici sono in realtà l’avanscoperta dei trasporti del futuro e una vera e propria miniera di dati sui comportamenti dei ciclisti in città. Non a caso, su Ofo ha puntato il gigante del commercio online Alibaba, mentre Mobike è stata acquistata da Meituan-Dianping, colosso della vendita di coupon per ristoranti e consegne a domicilio. Le società che vendono prodotti e servizi sul web sono interessate ai gusti e alle abitudini degli utenti, per poter inviare loro offerte mirate. Grazie alla geolocalizzazione, una catena di ristoranti o un negozio possono inviare sconti e vantaggi ai ciclisti quando passano nei paraggi. Per capire il valore di questi dati basti pensare che Ofo e Mobike hanno raccolto finanziamenti per 1 miliardo di dollari ciascuna.
Non solo trasporti intelligenti e smart city, ma anche salute, sicurezza alimentare, clima e gestione efficiente dell’energia. Secondo le stime della Commissione Europea, la data economy valeva nel 2015 più di 285 miliardi di euro, ossia poco meno del 2% del PIL europeo, e impiegava 6 milioni di persone. Con la messa in atto di condizioni politiche e legislative di incoraggiamento agli investimenti, la data economy potrebbe raggiungere 793 miliardi di euro nel 2020, il 4% del PIL e dare lavoro a 7,4 milioni di persone.
La sharing economy, nata come reazione ai cambiamenti dell’economia globale, si ritrova oggi nella posizione di modellarla a sua volta, ponendo nuove sfide e opportunità all’attenzione degli specialisti dei settori più innovativi e in rapida ascesa del momento.
L’indiscusso successo del nuovo modello di bike sharing dimostra come la diffusione dell’Internet of Things metta le imprese, anche quelle più tradizionali, di fronte ad infinite possibilità di integrazione tra il mondo materiale e quello digitale e, di conseguenza, renda possibile la creazione di servizi nuovi e/o più efficienti e vicini alle necessità dei consumatori.
La tecnologia sarà molto probabilmente anche la risposta alle problematiche ambientali, con software sviluppati ad hoc per interrompere il servizio solo nel momento in cui l’utente avrà riposto l’oggetto utilizzato nel modo più corretto, senza danni per l’ambiente. Inoltre, l’innovazione digitale può fungere anche da incentivo per reclutare nuovi utenti e promuovere uno stile di vita più sano. La società di bike sharing oBike, ad esempio, fa guadagnare ai propri utenti gli oCoins, una criptovaluta da usare per comprare video o canzoni.
In un’economia dove il vero valore è costituito dai dati, gli specialisti della cybersecurity saranno chiamati a sviluppare nuove soluzioni in grado di garantire quella stessa fiducia che sta alla base dei nuovi modelli di fruizione. Il regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) in vigore nell’UE dallo scorso 25 maggio, non copre l’accesso e il trasferimento di dati non personali, il che lascia spazio a timori sulla trasparenza e la sicurezza dell’utilizzo dei dati generati dalle varie forme di condivisione. Nel caso specifico del bike sharing, la privacy e la sicurezza possono essere violate anche tramite l’applicazione necessaria per sbloccare le bici, la quale è in grado di fornire informazioni in tempo reale sulla posizione e gli spostamenti degli stessi utenti.
Per chi desidera far parte del cambiamento ed acquisire un approccio manageriale alle sfide proposte dalla sharing economy, Bologna Business School offre programmi progettati per fornire una formazione altamente specializzata e portare l’innovazione al centro delle decisioni strategiche delle imprese e delle organizzazioni:
• Master in Data Science
• Master in Digital Tecnology Management: Digital Project Management, Cyber Security, Artificial Intelligence
• Master in Internet of Things
• Master in Gestione d’Impresa / Green Management and Sustainable Businesses